“Non conosco il contenuto delle conversazioni intercettate, ma quel tanto che finora e’ stato fatto emergere serve a far capire che d’ora in avanti ogni piu’ innocente espressione sara’ interpretata con cattiveria e inquietante malvagita’”.

E’ quanto si legge in un passaggio della lettera che il consigliere giuridico del Quirinale Loris D’Ambrosio scrisse al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano lo scorso 18 giugno a proposito delle notizie di stampa sulle conversazioni telefoniche intercettate nell’ambito dell’indagine della Procura della Repubblica di Palermo sulla presenta trattativa Stato-mafia. “Ne saro’ ancor piu’ amareggiato sgomento -continuava D’Ambrosio- anche perche’, come ho detto anche quando sono stato sentito a Palermo come persona informata sui fatti del 1992 e 1993, sono il primo a desiderare che sia fatta luce giudiziaria e storica sulle stragi; perche’ quei tempi li vissi accanto a Giovanni Falcone poi dedicandomi, assieme a pochi altri, senza sosta a comporre quel sottosistema normativo antimafia che ha minato la forza di Cosa nostra e di organizzazioni similari”. D’Ambrosio cita poi uno scritto inviato su richiesta di Maria Falcone e spiegava a Napolitano: “E sa che, in quelle poche pagine, non ho esitato a fare cenno a episodi del periodo 1989-1993 che mi preoccupano e fanno riflettere; che mi hanno portato a enucleare ipotesi -solo ipotesi- di cui ho detto anche ad altri, quasi preso anche dal vivo timore di essere stato allora considerato solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi”. “Non le nascondo di aver letto e riletto le audizioni all’Antimafia di protagonisti e comprimari di quel periodo di aver desiderato di tornare anche io a fare indagini, come mi accadde oltre trent’anni fa dopo la morte di Mario Amato, ucciso dai terroristi. Ecco, che tutti questi sentimenti siano ignorati per compromettere la mia credibilita’ o, quel che peggio, per utilizzare tale compromissione per ‘volgerla’ contro di lei, non e’ per me sopportabile”, scriveva ancora D’Ambrosio a Napolitano nella lettera del 18 giugno. “Sono certo che, per come mi ha conosciuto in questi anni e nei 10 anni precedenti, lei comprende il mio stato d’animo”. La lettera si concludeva con queste parole: “A lei rimetto percio’ il prestigioso incarico di cui ha voluto onorarmi, dimostrandomi affetto e stima”.

 

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