Il caso di Pierangelo Dacco’, il faccendiere condannato a 10 anni per il crac del San Raffaele e arrestato anche nell’inchiesta ‘Maugeri’ che vede indagato, tra gli altri, Roberto Formigoni, e’ diventato ormai una questione ”di interesse per la Corte dei diritti dell’uomo”.
. E’ la dura presa di posizione del suo legale, Gian Piero Biancolella, che stamani in Tribunale a Milano ha consegnato un comunicato ai cronisti: tre pagine per denunciare la ”carcerazione preventiva” che il suo assistito sta subendo ”da oltre un anno”, nel silenzio della ”societa’ civile” che usa il ”garantismo a singhiozzo”. Per la prima volta da quando e’ finito in carcere per la bancarotta del gruppo ospedaliero fondato da Don Verze’, Dacco’ oggi e’ arrivato al settimo piano del Palazzo di Giustizia di Milano per essere interrogato per rogatoria davanti al gip Laura Marchiondelli nell’ambito dell’inchiesta del Procuratore Pubblico Cantonale di Lugano, Raffaella Rigamonti, che indaga per riciclaggio sui suoi conti e sulle sue societa’ svizzere. ‘
‘Oggi Pierangelo Dacco’ – c’era scritto nelle prime righe del comunicato dell’avvocato Biancolella – e’ stato condotto in Tribunale con gli ‘schiavettoni’ ai polsi, come defini’ nel 1992 Giuliano Ferrara le manette apposte ai polsi dei detenuti in attesa di giudizio”. Una frase che inizialmente e’ suonata come una polemica contro il fatto che il faccendiere fosse stato portato in manette – come succede di solito per molti detenuti – sin davanti alla porta del giudice (nessun cronista comunque ha potuto vederlo, perche’ il corridoio del settimo piano era ‘blindato’). ”Certo che da cittadino – ha precisato poi l’avvocato – preferisco che i detenuti giungano non in manette, ma questa e’ un’altra problematica. Il problema e’ che Dacco’ sta subendo la carcerazione da oltre un anno e la custodia cautelare non puo’ mai essere, come ha stabilito la Corte Costituzionale, una espiazione anticipata della pena, perche’ esiste il diritto alla presunzione di innocenza”. L’uomo d’affari venne arrestato nel novembre 2011 (nell’ aprile 2012 un’altra misura cautelare per il caso Maugeri, i cui termini di custodia pero’ sono scaduti) e nelle scorse settimane e’ stato condannato in primo grado a 10 anni. In attesa del processo d’appello, Biancolella ha fatto ricorso al Riesame per chiedere la scarcerazione. Richiesta bocciata ieri. ”Non puo’ farsi affidamento alcuno sulle capacita’ di autocontenimento” di Dacco’, scrivono i giudici nelle motivazioni, ”mentre al contrario dagli atti di causa emerge l’esigenza di un rigoroso eterocontrollo”, che non puo’ essere garantito dagli arresti domiciliari, ”sulle sue relazioni e contatti, stante la natura degli illeciti contestati”. ”Nessuno di quella societa’ civile che e’ sempre stata attenta alle problematiche della magistratura e delle garanzie per i cittadini – ha detto, invece, Biancolella – parla oggi di Dacco’. Perche’?”. E’ l’unico ”in carcere nella vicenda San Raffaele come fosse unico responsabile di un crac miliardario”. Nell’interrogatorio di oggi Dacco’ ha risposto alle domande che, come ha chiarito il suo legale, erano incentrate soprattutto sul ruolo dei suoi due fiduciari, Giancarlo Grenci e Sandro Fenyo (saranno sentiti in Svizzera). Sono indagati con lui nell’ inchiesta svizzera, che vede coinvolti anche l’ex assessore Antonio Simone (interrogatorio previsto per oggi ma rinviato), gli ex vertici della Maugeri, Umberto Maugeri e Costantino Passerino, nonche’ i consulenti Claudio Massimo e Gianfranco Mozzali. Gli ultimi 4 saranno sentiti domani. Al centro delle indagini dei magistrati elvetici il presunto riciclaggio di quei 70 milioni di euro che, secondo la Procura di Milano, sarebbero stati distratti dalle casse della clinica pavese. ”Dacco’ – ha spiegato Biancolella – ha sempre detto che lui ha usato quei soldi per se e per le sue societa’. Non sono finiti ad altre societa’ o a politici”. Il caso di Pierangelo Dacco’, il faccendiere condannato a 10 anni per il crac del San Raffaele e arrestato anche nell’inchiesta ‘Maugeri’ che vede indagato, tra gli altri, Roberto Formigoni, e’ diventato ormai una questione ”di interesse per la Corte dei diritti dell’uomo”. E’ la dura presa di posizione del suo legale, Gian Piero Biancolella, che stamani in Tribunale a Milano ha consegnato un comunicato ai cronisti: tre pagine per denunciare la ”carcerazione preventiva” che il suo assistito sta subendo ”da oltre un anno”, nel silenzio della ”societa’ civile” che usa il ”garantismo a singhiozzo”. Per la prima volta da quando e’ finito in carcere per la bancarotta del gruppo ospedaliero fondato da Don Verze’, Dacco’ oggi e’ arrivato al settimo piano del Palazzo di Giustizia di Milano per essere interrogato per rogatoria davanti al gip Laura Marchiondelli nell’ambito dell’inchiesta del Procuratore Pubblico Cantonale di Lugano, Raffaella Rigamonti, che indaga per riciclaggio sui suoi conti e sulle sue societa’ svizzere. ”Oggi Pierangelo Dacco’ – c’era scritto nelle prime righe del comunicato dell’avvocato Biancolella – e’ stato condotto in Tribunale con gli ‘schiavettoni’ ai polsi, come defini’ nel 1992 Giuliano Ferrara le manette apposte ai polsi dei detenuti in attesa di giudizio”. Una frase che inizialmente e’ suonata come una polemica contro il fatto che il faccendiere fosse stato portato in manette – come succede di solito per molti detenuti – sin davanti alla porta del giudice (nessun cronista comunque ha potuto vederlo, perche’ il corridoio del settimo piano era ‘blindato’). ”Certo che da cittadino – ha precisato poi l’avvocato – preferisco che i detenuti giungano non in manette, ma questa e’ un’altra problematica. Il problema e’ che Dacco’ sta subendo la carcerazione da oltre un anno e la custodia cautelare non puo’ mai essere, come ha stabilito la Corte Costituzionale, una espiazione anticipata della pena, perche’ esiste il diritto alla presunzione di innocenza”. L’uomo d’affari venne arrestato nel novembre 2011 (nell’ aprile 2012 un’altra misura cautelare per il caso Maugeri, i cui termini di custodia pero’ sono scaduti) e nelle scorse settimane e’ stato condannato in primo grado a 10 anni. In attesa del processo d’appello, Biancolella ha fatto ricorso al Riesame per chiedere la scarcerazione. Richiesta bocciata ieri. ”Non puo’ farsi affidamento alcuno sulle capacita’ di autocontenimento” di Dacco’, scrivono i giudici nelle motivazioni, ”mentre al contrario dagli atti di causa emerge l’esigenza di un rigoroso eterocontrollo”, che non puo’ essere garantito dagli arresti domiciliari, ”sulle sue relazioni e contatti, stante la natura degli illeciti contestati”. ”Nessuno di quella societa’ civile che e’ sempre stata attenta alle problematiche della magistratura e delle garanzie per i cittadini – ha detto, invece, Biancolella – parla oggi di Dacco’. Perche’?”. E’ l’unico ”in carcere nella vicenda San Raffaele come fosse unico responsabile di un crac miliardario”. Nell’interrogatorio di oggi Dacco’ ha risposto alle domande che, come ha chiarito il suo legale, erano incentrate soprattutto sul ruolo dei suoi due fiduciari, Giancarlo Grenci e Sandro Fenyo (saranno sentiti in Svizzera). Sono indagati con lui nell’ inchiesta svizzera, che vede coinvolti anche l’ex assessore Antonio Simone (interrogatorio previsto per oggi ma rinviato), gli ex vertici della Maugeri, Umberto Maugeri e Costantino Passerino, nonche’ i consulenti Claudio Massimo e Gianfranco Mozzali. Gli ultimi 4 saranno sentiti domani. Al centro delle indagini dei magistrati elvetici il presunto riciclaggio di quei 70 milioni di euro che, secondo la Procura di Milano, sarebbero stati distratti dalle casse della clinica pavese. ”Dacco’ – ha spiegato Biancolella – ha sempre detto che lui ha usato quei soldi per se e per le sue societa’. Non sono finiti ad altre societa’ o a politici”.