”Una votazione solo simbolica”; ”Un cambiamento tecnico”: nei testi prodotti negli ultimi giorni dall’ufficio del primo ministro israeliano e dal ministero degli esteri l’ormai probabile via libera dell’Onu al riconoscimento dello status della Palestina a ‘Stato non membro’ viene ridimensionato cosi’.
Tutto a un tratto, dopo mesi di polemica furente contro ”il passo unilaterale” attribuito all’Autorita’ nazionale palestinese (Anp) di Abu Mazen, la voce del governo di Benyamin Netanyahu, si e’ fatta quasi pacata. Fra gli analisti, c’e’ una dose di stupore. Ancora due settimane fa il ministro degli esteri Avigdor Lieberman aveva detto che ”mentre Hamas conduce contro di noi atti di terrorismo vero e proprio, Abu Mazen all’Onu intraprende una sorta di terrorismo politico”. In quei giorni fonti governative minacciavano anche ritorsioni pesanti contro l’Anp: si parlava addirittura della possibilita’ di rovesciarla; o quanto meno di estendere la legge israeliana agli insediamenti ebraici nei Territori (con un’incendiaria annessione di fatto); si ventilava un placet della costruzione in Cisgiordania di altri 3.000 alloggi per i coloni. Alcuni arrivavano a ipotizzare la revoca degli storici accordi di pace Oslo (Rabin-Arafat) del 1993. In quei giorni di tensione e di polemica rovente, il premier Netanyahu ‘avvertiva’ Abu Mazen che la pace con Israele doveva restare sul tavolo dei negoziati (malgrado lo stallo pluriennale delle trattative) ”e non mediante azioni unilaterali all’Onu” destinate ad ”allontanare la pace e accrescere l’instabilit…”. Adesso pero’, alla vigilia dello storico voto, il governo israeliano preferisce adottare un profilo piu’ basso e un retorica meno accesa: forse in seguito alla discreta opera di persuasione condotta a Gerusalemme dal segretario di stato Usa Hillary Clinton. All’Onu, si nota, i palestinesi beneficiano del resto di una ”maggioranza automatica” contro cui Israele potra’ solo limitare, se ci riesce, l’entita’ della sconfitta. Alla stampa locale i portavoce aggiungono che ”dopo i fuochi di artificio a Ramallah la situazione ‘de facto’ restera’ inalterata: le colonie saranno ancora al loro posto e cosi’ pure l’esercito israeliano”. Sul terreno, per ragioni prudenziali, le forze armate israeliane saranno comunque da domani in stato d’allerta. Esiste il timore che manifestazioni politiche nella principali citta’ della Cisgiordania si trasformino in marce di protesta contro gli insediamenti ebraici. E che nei punti di frizione possano verificarsi incidenti. Da settimane si osserva d’altra parte nei Territori un certo ritorno della violenza. Oggi i dirigenti israeliani si sono in genere astenuti dal commentare le prospettive della sfida palestinese all’Onu. Nella sostanza fanno sapere che la ‘rappresaglia’ israeliana sara’ ”misurata”: forse di carattere economico. Non dovrebbero viceversa esserci, a dispetto dei toni delle settimane scorse, ritorsioni politiche significative verso l’Anp. Ma a due condizioni: che dopo le elezioni politiche in Israele (gennaio 2013) Abu Mazen riprenda le trattative con Israele (nonostante l’evidente sfiducia palestinese nei confronti della maggioranza di destra che sostiene Netanyahu, tuttora favorita nei sondaggi); e soprattutto che si astenga dal chiedere l’adesione alla Corte penale internazionale. E’ appunto questa, secondo gli analisti, la molla che farebbe scattare la reazione israeliana: dettata dal timore d’una pronuncia giudiziaria formale contro la legittimita’ degli insediamenti dei coloni nei Territori. Nel frattempo una fonte governativa israeliana, citata da Canale 10, ha peraltro rilevato che ”non tutto il male vien per nuocere”. E che un rafforzamento del laico Abu Mazen, in questa fase, sarebbe in fondo utile. Tanto piu’ dopo che gli islamici di Hamas a Gaza ritengono d’essersi consolidati (almeno in termini politici e diplomatici) sull’onda del violento confronto armato con Israele, conclusosi la settimana scorsa.