SALERNO – “Ho conosciuto Antonin Artaud nel modo più semplice: sono andata a trovarlo.” Così scriveva Paule Thévenin nel suo libro “Antonin Artaud nella vita”.
Ho indossato lo sguardo attento e curioso di questa scrittrice come strumento per osservare da vicino l’artista e l’uomo Artaud, per guardarlo muoversi nello spazio e disegnare ragnatele di pensieri con le parole. Uno spazio comune, lontano dal delirio dei manicomi e degli elettroshock.
Su una poltrona, in un angolo qualsiasi di un qualsiasi teatro, siede una biografia imponente che si declina in parole sfaccettate e sonore, suoni che creano labirinti, geometrie complesse di poesia su cui il satiro Artaud si diverte ad arrampicarsi sfidando il lettore-spettatore a seguirlo. Percorro i suoi labirinti e accetto la sfida alla ricerca del mio personale Artaud.
P.S. (per lo spettatore)
…Analfabeta è chi non sa né leggere, né scrivere, ma è anche il bambino (l’infante, il “petit fou”) che non sa nemmeno parlare. L’Accademia preferisce un’altra parola, illetterato, ossia “omo sanza lettere”. Ovvero il figlio bastardo, il criminale che non si pente, il bruto esiliato dal regno della parola data. Per il medico, analfabeta è il folle che si perde nei suoi deliri linguistici (furor o stoltiloquium?). Per lo Stato è il
clandestino, per il fisco, il miserabile. Si discute del “tasso di analfabetismo”, della “percentuale di
analfabeti nella popolazione”, delle leggi contro l’imbarbarimento della cultura. In nome del complesso di
Edipo, o della competitive intelligence, si spartiscono la libertà e la dignità di parola… la ragione letteraria è solo l’altro volto della farneticazione media e della dialettica dell’esclusione, parole chiave della visione borghese della vita pubblica. Derivato dal latino follis (mantice per il fuoco), folle è lo stupido, l’idiota senza ragione: insipiens, mente captus, stultus. Di chi nutre folli speranza si dice che è matto, matto furioso.
Questo spettacolo {libretto} non è adatto all’uomo di cultura, o allo spacciatore di libri, richiede gente di un’altra razza, esige matti furiosi. Per meglio dire: se ne fotte dello spettatore {lettore}. Per seguirlo {leggerlo}, bisogna gridare con Artaud, “avere un corpo, dire “. Bisogna diventare fuoco, ignescere, tornare selvatici e analfabeti per trovarne la chiave. Eccentrica, eccessiva, piena di intensità, la visione {lettura}, come la libertà, è il gesto di un folle analfabeta, una sovversione di fatto, “lo stridere di un ferro rovente”…
Tratto e adattato da: Quel che è rimasto di un Artaud fatto a pezzetti – Marco Dotti
Sinossi
1946.
Paule Thevenin scrittrice ventenne incontra per la prima volta Antonin Artaud, di quell’incontro dirà:
“Ho conosciuto Antonin Artaud nel modo più semplice: sono andata a trovarlo”, come chi con occhi ancora increduli racconti l’incontro con il suo idolo. Quella giovane scrittrice entrerà a pieno titolo nella vita di Antonin Artaud.
1970 più o meno.
Non importa quale sia la data specifica, sono gli anni settanta e le teste sono tutte in movimento sospinte da venti di ribellione, febbre di ricerca, sperimentazione spinta. Ancora Paule Thevenin, imbrigliata nel delirio fanatico di un attore preso e perso nella personalità del genio Artaud.
Nello spazio di un metro cubo si celebra un perverso cerimoniale:
la scrittrice è costretta alla crudeltà… quella crudeltà tanto cara ad Artaud, quella crudeltà che non è mera cattiveria ma immagine cruda, provocazione fastidiosa, arte scomoda.
La ricerca delirante di un’osmosi: rivivere Artaud attraverso chi lo ha vissuto, come un parassita assetato succhiarne l’odore e le tracce dalle parole, dagli occhi, dall’epidermide della donna ancora impregnata di Artaudiana genialità. Un delirio che talvolta sfocia in sovrapposizione: interpretare Artaud – essere Artaud, un’insana emulazione, una specie di possessione del corpo e dello spazio anch’esso plasmato in forme che parlano la lingua di Artaud.
Informazioni
Golem Teatro è un progetto del 2009, formalmente costituito nel 2012, nato da un gruppo di giovani che da anni operano nei vari settori teatrali: recitazione, drammaturgia, regia, scenografia,
costumi. Sei anime eclettiche , sei storie, sei percorsi tutt’altro che lineari che si incontrano e si raccontano, l’arte diviene totem in mezzo a loro e dalla materia delle loro esperienze prende vita il Golem Teatro.
Tutti i progetti sono volti ad indagare i grandi topos dell’anima, la residenza stessa della nostra ragion d’essere. E’ la carne, il nostro corpo il punto di partenza e di arrivo.
Le produzioni su testi originali sono per noi attraversamenti, passaggi nella voce e nella carne di personaggi come la “Mbriana” o “ Janara”, o, ancora, attraverso il corpo storpio cogliere l’anima di “Minotauro” e “Munaciello” fino all’immersione nella poetica di Artaud in “Iosonogesucristo”.
Indiscreti entriamo nel cuore, nel centro dell’anima dei nostri progetti e esploriamo personaggi, anime che ci toccano in profondità: anime di una sola anima come nel progetto “ A Spasso con la Storia”, un progetto di teatro itinerante che porta in scena circa 50 attori, e conta 5000 presenze, in poco più di una settimana. I nostri non sono semplici racconti, ma azioni dell’anima, di personaggi pregni di vita e come questa grotteschi e drammatici insieme. Infondere vita, anima, a qualcosa che di per se è inanimato proprio come le leggende sul Golem. Ispirati dall’arte prepariamo la semina di nuovi germogli d’arte. E a chi ci guarda chiediamo un’adesione intima e profonda. La discrezione non fa per noi.
iosonogesucristo, da, per e con Antonin Artaud
con
Francesca Iovine e Dimitri Tetta
Adattamento e regia: Giovanni Granatina
Collaborazione alla regia: Giovanni Del Prete e Gina Oliva
Scene e disegni: Francesco Felaco
Costumi: Gina Oliva
Ricerche bibliografiche e storiche: Giovanni Granatina
Ricerche musicali: Gina Oliva
Testi tratti da: Antonin Artaud e Paule Thévenin
Sabato 12 Gennaio ore 21,00
Domenica 13 Gennaio ore 18,00
STUDIO APOLLONIA
(via San Benedetto)
-Salerno-