Il conclave governativo nell’abbazia della campagna senese sarà ricordato più per lo “spirito di Spineto” – copyright di Enrico Letta – che per i risultati raggiunti. La possibilità di dirsi le cose in faccia, anche in modo “duro”, ma con “lealtà e franchezza”, ha aiutato a trovare un compromesso capace di migliorare il clima all’interno della squadra di governo, ma non a risolvere i tanti nodi che ancora impediscono al governo di prendere i primi provvedimenti.

Il conclave, se non in minima parte, non ha poi contribuito molto a fare quello “spogliatoio” auspicato dal capo del governo. Né è bastato il fatto che Letta e Alfano abbiano interessi convergenti. Ad esempio sull’evitare maggioranze ‘variabili’ che farebbero saltare la fragile alleanza (anche se Franceschini, su richiesta del premier, ha passato parte del tempo a tenere i contatti con i partiti dell’opposizione, Sel e M5S in testa). Entrambi sanno che il loro futuro politico dipenderà dal successo di questo governo. Ma il destino dell’Esecutivo, in buona parte, prescinde dalla loro volontà. Il premier deve fronteggiare le tensioni interne ad un Pd sempre più lacerato e diviso, nonostante la scelta del nuovo segretario. Sul vicepremier incombe l’ombra di Silvio Berlusconi, che è costretto a difendere anche quando ne farebbe volentieri a meno. Il risultato è che la diffidenza reciproca resta. Così come le difficoltà di varare i provvedimenti. Non é un caso che il Cdm atteso per mercoledì sia nuovamente slittato, stavolta a venerdì. Il nodo è sempre quello delle coperture. Fabrizio Saccomanni, nel chiuso dell’abbazia, si è ben guardato dallo spiegare come intenda finanziare il congelamento dell’Imu sulla prima casa e il rifinanziamento della Cig. Ha ascoltato senza sbilanciarsi le richieste dei ministri pidiellini che chiedevano di estendere il provvedimento ai capannoni agricoli e industriali. Il ministro dell’Economia, sfruttando anche la sua ironia, ha detto di capire le “urla di dolore” dei colleghi che chiedono soldi per l’istruzione, la sanità, l’agricoltura. Ma ha anche invitato tutti a collaborare, accompagnando le singole proposte con le relative coperture. Un modo per non costringerlo a dire sempre e solo ‘no’, come accadeva con Tremonti e (in parte) con Grilli. A complicare il compito di Letta ci sono anche i caratteri e le personalità dei singoli ministri. Raccontano che non sia passata inosservata la tendenza di Giovannini ad intervenire su molti – per qualcuno “troppi” – temi. Altrettanto clamore ha fatto la richiesta di Cecile Kyenge di tenere per sé la delega sulla droga. Il tutto mentre il premier si raccomandava con i ministri sulla necessità di essere sobri e di evitare le personalizzazioni, anche astenendosi dal dare il proprio nome alle riforme varate. Per non parlare della necessità, più volte richiamata da Letta, di”depoliticizzare” il più possibile l’Esecutivo. “Una richiesta bizzarra da parte di chi, ricordando le parole di Napolitano, ha detto in Aula che questo é un governo politico”, ha ironizzato, velenoso, un ministro del Pdl. Sulla strada del conclave anche il clima si è messo di traverso. La pioggia incessante di domenica e le rigide temperature della notte non hanno certo aiutato a scaldare un’atmosferà resa gelida dallo ‘scontro del van’, come ormai è stato ribattezzato il duro confronto fra Letta e Alfano sulla manifestazione di Brescia. “Eravamo tutti stanchi e infreddoliti e non vedevamo l’ora di andare a dormire”, racconta uno dei ministri, spiegando perché la cena – una degustazione in piedi – non abbia aiutato molto a socializzare. Qualcuno ha tentato di rompere il ghiaccio, avvicinandosi al grande biliardo posto nel salone. Ma è durato poco e dopo qualche colpo i ministri hanno desistito. Ecco perché Letta, aprendo i lavori di lunedì, ha ‘twittato’: “Almeno non diluvia”. Un modo per dire che peggio della prima giornata non sarebbe potuta andare.

 

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