LIONI – Non ci sta Rocco Ruotolo a vivere nascosto al mondo come fosse un boss latitante. Lui, 53 anni, moglie, due figli di 23 e 25 anni, imprenditore, è un testimone di giustizia. Originario di Lioni, in provincia di Avellino, da 20 anni residente a Padova, aveva nella città veneta una piccola impresa edile che improvvisamente comincia a far gola ai Casalesi. Finge di stare al loro gioco e d’accordo con la polizia si infiltra nel clan fino a diventare vicecapo. Poi, dopo un anno li ha fatti arrestare, processare e condannare tutti, erano 25.
“Ho regalato tre anni della mia vita allo Stato, gli ho dato la mia azienda, il mio lavoro. E oggi chiedo allo Stato di restituirmi la mia dignità – sottolinea Rocco Ruotolo, presidente del Comitato testimoni di giustizia -. Io non mi pento di quello che ho fatto, della mia scelta condivisa con la mia famiglia: ho fatto una scelta di legalità ma ora lo Stato mi restituisca parte di quello che non ho più: la dignità di persona”. I testimoni di giustizia in Italia sono un’ottantina, tutti vivono sotto protezione, aiutati dal Servizio centrale di protezione. “Il problema non è sfamarsi – rincara Ruotolo – è sentirsi ancora delle persone. E’ come se ci avessero chiuso in una stanza: ci danno da mangiare ma la nostra vita è rimasta fuori. Per questo noi testimoni di giustizia abbiamo deciso di scrivere al presidente della Repubblica Napolitano e al ministro degli Interni Angelino Alfano, perché ci ascoltino e ci diano una speranza di vita”. Ruotolo, geometra, racconta di aver comprato con tanti sacrifici un terreno a Padova e aver dato il via alla costruzione di sei ville quando improvvisamente la sua azienda edile, nella quale lavorava anche la moglie, geometra anche lei, comincia a far gola al clan dei Casalesi che ne vogliono assumere il controllo per infiltrasi in Veneto: lui, d’accordo con le forze dell’ordine finge di stare al gioco, diventa un uomo di fiducia del clan e poi con precisione ne ricostruisce tutti i rapporti. Mentre testimonia al processo la sua azienda chiude ma gli operai, che sono ancora in contatto con Ruotolo, aspettano che lui torni per riprendere a lavorare. “Le persone alle quali avevo venduto le ville che stavo costruendo nel frattempo non vogliono più le case e mi stanno giustamente chiedendo la restituzione delle caparre. Giorni fa – racconta Ruotolo – sono andato a vedere il cantiere, non c’é più niente mi hanno rubato tutto”. Ruotolo dunque ha fatto con orgoglio la sua scelta di legalità, ma è il dopo che lo spaventa. “Dopo non c’é più niente: ho lavorato tanto, come una formica e ora non ho più niente. Non voglio incatenarmi davanti al Quirinale e condanno chi come Preiti ha fatto la scelta estrema di sparare davanti a Palazzo Chigi, ma dallo Stato al quale ho sacrificato la mia vita ora voglio risposte. Noi testimoni di giustizia rivogliamo la nostra dignità”.