Una sbarra chiusa con una catena nuova di zecca. Il primo ostacolo che si è dovuto scavalcare per entrare sulla tenuta agricola La Balzana a Santa Maria La fossa. C’era infatti il Corpo Forestale dello Stato, le associazioni, i cittadini. Ma nessun rappresentante delle Istituzioni, nessuno che avesse le chiavi di quel lucchetto. «Fino a ieri, comunque, la sbarra era aperta, qui entrano pure i pastori per il pascolo» racconta uno dei presenti al flashmob #balziamocisu organizzato questa mattina dal Festival dell’Impegno Civile. «Ora siamo abusivi, denunciateci» iniziano a gridare i presenti. «Il sindaco di Santa Maria La fossa ci aveva assicurato che sarebbe venuto.
Sarà stato trattenuto da altri impegni» affermano i responsabili del Comitato Don Peppe Diana e di Libera Coordinamento Provinciale di Caserta, le associazioni che promuovono il Festival «Ma quello che conta è che siamo su un bene di cui lo Stato si dovrebbe essere riappropriato e invece versa in questo stato di totale abbandono. E certamente non si può gettare la croce sull’amministrazione locale. Qui sarebbe necessaria la sinergia dei diversi livelli dello Stato, progettualità serie e condivise, un piano di investimenti. Ma, come troppo spesso ancora capita sui beni confiscati, tutto questo manca». Il borgo agricolo, 220 ettari, una trentina tra edifici e capannoni, la più grande azienda agricola confiscata del mezzogiorno d’Italia, si presenta devastato. Dall’incuria, dall’abbandono, dai rifiuti: amianto, una montagna di polistirolo, attrezzi, cassette di plastica, calcinacci caduti da ogni dove, una vegetazione incolta di rovi ed erbacce. La maggior parte dei tetti sono crollati, le case una volta abitate da operai e coloni che ancora formano uno straordinario decagono proprio al centro della tenuta, sono ormai accessibili solo ai più audaci che si inerpicano per scale pericolanti. I capannoni danno l’impressione dei reportage del dopoguerra.
«Qui ho passato i primi anni della mia vita, mio padre lavorava qui ai tempi della Cirio» racconta Simmaco Perillo della cooperativa Al di là dei Sogni che gestisce il bene confiscato Alberto Varone a Maiano di Sessa Aurunca e stamattina è tornato qui proprio col padre e con i due figli «E’ un colpo al cuore, non c’è più nulla, è tutto devastato. Le stanze che abitavamo, la piccola chiesetta». Perché a La Balzana, un vero e proprio borgo agricolo, c’era pure una scuola e un luogo di culto, oggi quel che resta dell’altare e del confessionale giacciono tra rifiuti ed escrementi.
«Com’è ridotta oggi è il simbolo della sconfitta dello Stato» dice Valerio Taglione del Comitato Don Peppe Diana «Dopo il fallimento della Cirio era stata la camorra a mantenere questo luogo produttivo e a continuare a dare lavoro. Quando lo Stato se ne è riappropriato, successivamente al Processo SpartacusI, è rimasto nell’incapacità di portare avanti un serio progetto di riutilizzo. Così ha vinto il degrado frutto dell’abbandono. Eppure questo bene, per dimensioni e potenzialità, potrebbe diventare il cuore di quel processo di economia sciale che stiamo sviluppando sulle Terre di Don Peppe Diana. Eppure qui si potrebbe tornare a produrre reddito e lavoro. Con questo flash-mob» afferma Taglione «abbiamo voluto riaccendere i riflettori su questo bene: le istituzioni, nazionali e locali, devono rimetterlo al centro della propria agenda. Ma noi tutti vogliamo che questi terreni, questi edifici, tornino ad essere un bene comune». Alle 11,30, dopo aver visitato quanto era accessibile, il flash mob, un salto simbolico su questi terreni al grido “Il nostro futuro ha radici in questa terra”. Poi tutti via, il Festival va avanti, il pomeriggio ancora due tappe impegnative: a Quindici, nella ex villa bunker dei Graziano che diventerà un maglificio, e a San Cipriano, nel bene confiscato di vico II Caterino, per ascoltare i racconti del giornalista e scrittore Giovanni Tizian, costretto a vivere sotto scorta per le sue denunce contra le ‘ndrine e le loro infiltrazioni al nord Italia.
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