Nursultan Nazarbayev, ”il Giulio Cesare della situazione”, e il suo pupillo Mukhtar, novello Vercingetorige, sono i personaggi con cui il premio Nobel Dario Fo racconta, sulle pagine del Fatto Quotidiano, ”il fattaccio ingarbugliato e orrendo del rapimento di Alma Shalabayeva e di sua figlia Alua, perpetrato con cinismo a dir poco osceno dall’ambasciatore kazako, che ha gestito i ministri, sottosegretari e polizia italiana come un burattinaio fa con le sue marionette”.
Fo inizia il racconto introducendo il personaggio di Nazarbayev, ”il satrapo orientale”, e la ricchezza del Kazakistan: ”Tu che siedi sul trono dei cieli, o supremo creatore immortale, hai versato su noi, tuoi fedeli, il petrolio e il gas naturale. Madre terra, signora possente dei metalli e degli idrocarburi, tieni in carica il gran presidente ora e sempre. E speriamo che duri!”. La storia prosegue con l’entrata in scena di Ablyazov, ministro dell’Energia, che ”al pari di Bruto, figlio di Cesare, palesa un grande difetto: pretende che nella gestione di quell’enorme macchina di ricchezza gli ingranaggi e le ruote dentate si muovano senza mordere prebende e sontuosi vantaggi privati”. Fo descrive quindi il ”pasticciaccio italiano”. ”A ‘sto punto, se dobbiamo credere alla versione dei kazaki, i nostri ministri, uno appresso all’altro, avrebbero raccontato fandonie da brighella”, scrive il Nobel, che conclude il racconto con le parole del Capo dello Stato Giorgio Napolitano: ”Ogni passo falso in merito alle denunce, anche se veritiere, ci pone nel pericolo di contraccolpi politici che ci farebbero schiattare! Perciò silenzio, acqua in bocca e fatevi i gargarismi cantando l’inno nazionale!”.