Una tecnica meno invasiva, più dinamica e che non crea problemi alla colonna vertebrale. Si tratta dell’inserimento con accesso minimo dei dispositivi elastici che rendono stabili i dischi vertebrali degenerati. Si tratta, spiega il primario di Neurochirurgia al presidio ospedaliero Pineta Grande di Castelvorturno (Caserta), Alfredo Bucciero, di una ”vera e propria rivoluzione per chi soffre di mal di schiena, una malattia di cui sono affetti 15 milioni di italiani dai 45 anni in poi.
Secondo gli esperti, la schiena ha come nemico la vita sedentaria e l’obesità e la sua origine più diffusa (dall’85 al 90 per cento) va cercato nei fattori meccanici come le discopatie, le stenosi, le ernie del disco e le fratture. Fino a qualche anno fa i problemi della schiena venivano trattati con una tecnica chirurgica chiamata fusione intersomatica che consiste nel bloccaggio, attraverso un sistema di viti, placche e innesti, di due corpi vertebrali. Di sicura efficacia nel breve periodo, a lungo termine la fissità di 2 o più elementi può però determinare una degenerazione delle vertebre adiacenti, causando dolore e a volte la necessità di un nuovo intervento. Oggi arriva la stabilizzazione dinamica ovvero l’inserimento, attraverso un approccio mininvasivo, di dispositivi elastici in materiale sintetico ad altissima tecnologia in grado di rendere stabili i dischi lombari che si sono degenerati. ”La chirurgia vertebrale ha raggiunto finalmente lo scopo di non essere più soltanto demolitiva – dice Bucciero – Oggi si preferisce ricorrere anche ad alternative meno invasive e più dinamiche, soprattutto nei casi meno gravi, che si integrano nella biomeccanica della colonna vertebrale cercando di conservarne le capacità elastiche”.