Antonio Iovine non aveva alcuna intenzione di mettere in atto azioni violente contro Roberto Saviano e Rosaria Capacchione. Lo ha detto lo stesso pentito, ex boss del clan dei Casalesi, deponendo oggi in videoconferenza al processo per le minacce allo scrittore e alla giornalista contenute in una istanza di remissione del processo Spartacus presentata dal suo ex legale, avvocato Michele Santonastaso (imputato anch’egli in questo processo). ”Dell’istanza di remissione – ha detto il pentito – seppi da da una intervista al telegiornale del procuratore Roberti. Capii che era successo qualcosa. Sentivo il peso dell’opinione pubblica sulle spalle e il clamore, stavamo tutti i giorni sui giornali e in televisione. Ritenevo che la Corte non avesse la giusta serenità per affrontare il processo Spartacus”. Iovine, rispondendo alle domande del pm della Dda Cesare Sirignano, ha spiegato che non tentarono di ”aggiustare” in appello il processo Spartacus proprio perché su di esso vi era ormai una forte attenzione della magistratura e dell’opinione pubblica. ”Se Santonastaso avesse evitato di parlare di Saviano – ha aggiunto Iovine – sarebbe stata una cosa buona che non avrebbe agitato gli animi. Il non conosco Saviano, il mio giudizio è basato su quello che mi è stato detto”. Iovine ha anche escluso che l’altro boss dei Casalesi Francesco Bidognetti volesse attuare azioni violente, pur definendolo un mafioso e un uomo senza scrupoli. ”Bidognetti è sempre Bidognetti, quando si dicono delle cose si può innescare una reazione perché Saviano e Capacchione possono comunque dare fastidio”. ”Stavamo tutti i giorni sui giornali – ha poi sottolineato spiegando l’atmosfera che si era creata intorno al processo – , cose mai successe in tutta la storia della camorra casertana”. Iovine si è poi soffermato sui suoi rapporti con Santonastaso, che lo assisteva sin dal suo arresto nel 1990, e definito da lui un giovane e ambizioso avvocato che si impegnava molto. Il legale, come dichiarò il pentito ai pm nelle scorse settimane, gli chiedeva forti somme di denaro che a suo dire avrebbe dovuto utilizzare per ”aggiustare” alcuni processi in appello. ”Era un giovane avvocato molto ambizioso bravo preparato, cercava di dare soddisfazione ai clienti che stavano in carcere. Nei primi anni ogni qualvolta c’era necessità di dargli dei soldi glieli mandavo poi stabilita quota di 30000 euro all’anno per riconoscergli il suo impegno. Se vi era qualche spesa in più davo disposizione alla mia famiglia di provvedere. Con lui ho sempre avuto un rapporto di stima e rispetto. Ognuno faceva il suo mestiere, io il latitante e lui l’avvocato. Lui mi garantiva la tranquillità giuridica, io la retribuzione”.