È ufficialmente entrata a far parte delle date memorabili dell’ospedale psichiatrico giuridico Filippo Saporito di Aversa quella dello scorso 17 maggio 2015. Una comune domenica pomeriggio di metà primavera, nuvolosa e cupa, che ha fatto da sfondo “sublime ed angosciante” alla visita guidata all’intero delle mura normanne ove un giorno fu detenuto Raffaele Cutolo, dalle quali seppe evadere con ingegno e strategia: una carica di nitroglicerina squarciò dall’esterno l’edificio. Ad invitare la cittadinanza tutta è stata l’associazione “Casa del cambiamento e della cultura” “Adesso Scuola” e “I Normans”. All’accoglienza e l’ospitalità del personale della polizia penitenziaria, che sempre ha accompagnato i visitatori durante l’iter, si sono immediatamente contrapposti lo stupore e la curiosità di una parte dei 71 internati. Osservano, con gli occhi di chi potrebbe riempire tomi e tomi nel raccontare la propria vita pur sapendo che le parole scritte sono segni neri che camminano sul bianco, mentre chiacchierano col compagno di cella, o fumano, fino all’altezza del filtro, portando la sigaretta fuori dalle porte carcerarie e con essa il fumo che ne deriva dalla combustione. Il silenzio assordante è interrotto, a tratti, dal vento che soffia attraverso le foglie della fioriera a metà tra il plesso 5 e quello 6. Il fruscio delicato, quasi a ricordare un’onomatopea di un racconto giallo, rende impercettibili le voci di quegli uomini, ma ben pesanti sono i loro sguardi. La direttrice Elisabetta Palmieri prende a parlare enumerando date, nomi e leggi. Spiegando, con rigore e premura, ciò che oggi è divenuto l’O. P. G. di Aversa e raccontando ciò che un giorno, invece, è stato. Dai Paolotti a campo aperto ospedaliero della Seconda Guerra mondiale, da tribunale a carcere. Ad accompagnarla vi è un uomo, un ufficiale penitenziario, che con voce vissuta e provata delinea il profilo di un luogo il cui futuro è ancora incerto. Qualche passo, poi, per ritrovarsi in una macchia verde su un panorama triste. Una sosta per esaminare da vicino i giardini della struttura, utilizzati nella “bella stagione” per gli incontri tra internati e familiari. Qualche interessante notizia sulla staccata, così denominata perché divisa dagli edifici principali, dove si tenevano dei corsi di ippoterapia e oggetto, di qui a qualche mese, di ristrutturazione e inglobamento da parte del Tribunale Napoli Nord. Con gesti rapidi e precisi ci viene indicato il campo da calcio, per svolgere regolarmente attività fisica, necessaria per chi vive in una piccola stanza. Vengono denotati plessi in cui si effettua il recupero attraverso lavori artigianali, creazioni manifatturiere e svaghi vari. Nell’infinita area verde, dentro la quale la mente fantastica e immagina scene da film hollywoodiani, non mancano gli animali: gatti spaventati dalle voci assordanti e sconosciute di uomini e donne che attraversano in lungo e in largo l’ospedale psichiatrico giudiziario, qualche papera e dei conigli. Una pecora e una capra tibetana, delle tartarughe marine. Forse sono gli unici che in quell’immensità credono di essere liberi, o che forse lo sono davvero. L’excursus continua, fino a giungere al fulcro: il museo criminologico. Filippo Saporito seppe portare all’acme l’istituto della ormai città millenaria a livello europeo. Detenne “folli rei” e “rei folli”, scandagliando nei meandri della ragione, esaminando e visitando uomo per uomo, donna per donna, tutti i detenuti. Rilevanti erano i tratti somatici, la misura del cranio, i comportamenti assunti in particolari condizioni. Restrittivi e crudeli erano, invece, i metodi adoperati per la detenzione forzata degli internati. Camicie di forza, farmici ed elettroshock – quest’ultimo utilizzato fino al 1999, anno in cui Rosy Bindi, allora Ministro della Sanità, con il decreto legislativo 229, vara la legge del Servizio Sanitario Nazionale, la quale prevede l’utilizzo di questi particolari strumenti atti ad affievolire il detenuto sol quando tutti gli altri mezzi sono risultati vani. Mura, quelle dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa, colme di storia. Dove l’architettura medievale scrive una grande pagina sulle fondamenta del convento dei Paolotti. Dove gli archivi narrano di vicende di uomini italiani e non, costretti a vivere nelle carceri pur essendo fautori di piccoli reati, per pagare il fio delle pene, causa spesso della non-sana igiene mentale. Al termine del percorso si è tenuto un dibattito: chiusura degli O.P.G. Quale futuro? L’umanità dentro e fuori le mura. Ad intervenire circa l’argomento cardine sono stati i presenti: Tommaso Contestabile, provveditore del D.A.P. Campania, Elisabetta Palmieri, direttrice O.P.G. di Aversa, Senatore Lucio Romano, democrazia solidale, commissione igiene e sanità, gli onorevoli Camilla Sgambato e Stefano Graziano, Giuseppe Nese, coordinatore regionale superamento O.P.G., Giuseppe Ortano, direttivo nazionale psichiatria democratica, Annagioia Trasacco, responsabile nazionale salute mentale Tdm, Nicola Graziano, magistrato e Carmine Esposito, segretario del Pd di Aversa, moderati dal direttore di Campania Notizie, Mario De Michele.

 

 

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