CASERTA – Alla Preside Adele Vairo Una lettera, dettagliata e corredata da puntuali riferimenti normativi, per tutelare il diritto costituzionale alla libertà di espressione dei cittadini e degli studenti, come previsto dalla Costituzione. Una serie di richieste per invertire la tendenza “repressiva” del liceo “Manzoni” di Caserta,

indirizzate al preside Adele Vauro. Giosuè Bove, ex segretario provinciale di Rifondazione comunista e scrittore, ha preso carta e penna per prendere le difese degli studenti del “Manzoni”, il diritto allo sciopero sarebbe fortemente leso dal regolamento interno dell’istituto. Come lui stesso precisa, Bove ha scritto al dirigente scolastico in qualità di padre. Ecco il testo della missiva: ” Gentile Preside, Ho deciso di scriverle, prima che da padre di una studentessa, da cittadino e da democratico. E Le dichiaro in premessa le mie opinioni, ché solo dopo Le narrerò i fatti ed elencherò le richieste.

 

Le opinioni Le scrivo, intanto, perché forse Lei e il Suo stuolo di collaboratori da troppo tempo non partecipate ad una manifestazione di piazza e non respirate quell’odore dolce di primavera, qualsiasi sia la stagione in corso, quel vento di sorrisi, quel sapere che si spande nei cortei e rende bello il passo, e la musica che risuona e l’intelligenza critica del mondo che si accende, come promessa di futuro. E per invitarLa sabato 15 ottobre a Roma, al grande appuntamento italiano della manifestazione globale contro le politiche economiche dei governi. Sono pronto ad accompagnarLa personalmente e ne sarei onorato. Sono convinto che Le farebbe bene.

In secondo luogo perché credo che invece di reprimere bisognerebbe agevolare le lotte degli studenti contro politiche che tendono a ridimensionare e cancellare la scuola pubblica, per fare spazio ad un sistema di educazione privata che mercifica completamente il sapere e umilia la docenza. In terzo luogo perché credo che dovrebbe rivedere con urgenza gli articoli 26 e 27 del regolamento del Suo Istituto, che prevedono un “trattamento speciale” per le assenze collettive e per le altre forme di lotta tipicamente studentesche e che, con tutta evidenza, si configurano lesivi del diritto alla libera espressione e manifestazione delle opinioni degli studenti, garantito dal combinato disposto dello Statuto degli studenti e delle studentesse e dalla nostra Carta Costituzionale. Infine perché ritengo che minacciare gli studenti di provvedimenti disciplinari in caso di partecipazione ad una manifestazione, oltre ad essere un comportamento contraddittorio con quanto previsto esplicitamente dallo Statuto degli studenti e delle studentesse, sia anche un odioso abuso di potere e che alcuni suoi collaboratori dovrebbero essere urgentemente edotti di ciò. I fatti. E sia, adesso i fatti:

uno In seguito alla partecipazione di mia figlia alla manifestazione del 7 ottobre contro i tagli alla scuola pubblica, indetta dalla Unione degli Studenti, sono stato avvisato telefonicamente da un Suo solerte e iperattivo collaboratore non solo che la stessa scapestrata ragazza si era assentata dalle lezioni, ma che lo aveva fatto insieme a quasi tutta la sua classe, e che, trattandosi di assenza collettiva, non sarebbe bastata la giustifica scritta ma che era necessaria, per la sua riammissione in classe, la presenza di un genitore. Ciò in forza dell’articolo 26 del regolamento del Suo istituto che prescrive: “In caso di astensione collettiva delle lezioni, la giustifica di tale tipo di assenza andrà fatta personalmente dal genitore al momento del ritorno a scuola del singolo alunno” e che addirittura “l’eventuale circostanza dell’impedimento del genitore a tale obbligo, non potrà costituire esonero del citato tipo di giustifica rappresentando, invece, aggravante a carico dell’allievo sul piano della valutazione del comportamento”. Peraltro lo stesso articolo argomenta con chiarezza il perché di questa procedura: “La richiesta presenza del genitore trova giustificazione nella considerazione che, configurandosi l’assenza collettiva come un organizzato rifiuto, sia pure limitato nel tempo, dell’Istituzione scolastica, è necessario che di esso il genitore non solo sia informato, ma sia altresì chiamato a fornire alla scuola la indispensabile collaborazione nella prospettiva di una comune concordata azione educativa”.

due Ho avuto modo di ricevere questa informazione anche da una sua collaboratrice che peraltro, tanto per “metterici”, come direbbe Camilleri, “il carico da unnici” sosteneva che la manifestazione del 7 ottobre non era “autorizzata”, in questo spalleggiata a spada tratta da un altro docente, intervenuto senza alcun invito nella discussione, per il quale il diritto di sciopero “è solo dei lavoratori” (e questa, come direbbe Arbore, era una “catalanata” – una di quelle affermazioni scontate e dette come se fossero grandi verità che Massimo Catalano usava in “Quelli della Notte”, mitico programma televisivo degli anni ’80, nel tentativo di “alzare il livello della trasmissione”: anche se, poi, mi piacerebbe disquisire su che cosa significa oggi “lavoratori” e dunque dove si colloca la possibilità ed il diritto di sciopero, e con quali protagonisti, ma non è questo il luogo) e che perciò, secondo costui, gli studenti “non avevano alcun diritto di manifestare”, eseguendo il classico salto mortale con avvitamento logico basato su una identità sciopero – manifestazione che è, come chiunque può comprendere, completamente arbitraria e decisamente pretestuosa.

tre Sono inoltre venuto a conoscenza, parlando con alcuni genitori e studenti in fila per il mio medesimo motivo, che vi era stato un avviso preventivo nelle classi da parte di alcune Sue collaboratrici, le quali avevano minacciato gli studenti, (peraltro di fronte ad una selva di microfoni di cellulari accesi … imprudenti queste prof!) di provvedimenti di sospensione se si fossero verificate assenze collettive. E “parlanne parlanne” ho scoperto che al famigerato art. 26 si affianca il successivo 27, che, se possibile, è ancora più reazionario ed autoritario, e che invece di regolamentare, criminalizza di fatto le forme di utilizzo degli spazi della scuola per le attività associative degli studenti, in aperto contrasto con quanto previsto dallo Statuto delle studentesse e degli studenti, che pure è legge dello Stato. Le richieste Dopo averLe raccontato dei fatti, conditi, lo ammetto, con i miei commenti, vorrei arrivare a precisare le mie richieste. Vede, io ho adempiuto al dovere impostomi dal regolamento, ma intendo protestare fermamente contro l’intenzione repressiva che c’è stata nel comportamento dei Suoi collaboratori e per una modifica radicale e tempestiva almeno di quei due articoli del regolamento del Suo Istituto, che a parer mio, violano la Costituzione e lo Statuto degli studenti e delle Studentesse. La prima richiesta è relativa alla diffusione tra i docenti, alcuni di essi evidentemente eccessivamente acritici e ligi agli ordini ricevuti, di una nota a Sua firma che chiarisca che in Italia, per fortuna, le manifestazioni di protesta o di espressione di opinioni in luoghi pubblici sono considerate “autorizzate” quando a seguito della comunicazione da parte degli organizzatori alle forze dell’ordine, non vi sia stata, da parte di queste un divieto, che può essere emanato, peraltro, solo per gravi motivi di ordine pubblico. Le chiedo di farlo, così da evitare che debba organizzare io la distribuzione davanti alla sua scuola di un volantino riportante l’art. 17 della Costituzione “I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi. Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”. Spiegare questo articolo è molto semplice e i suoi docenti con scarse conoscenze giuridiche potrebbero chiedere lumi ai colleghi di diritto, prima di dire ad alta voce cavolate.

Insomma, ma so che Lei conosce bene la materia e sto insistendo inutilmente: non esistono manifestazioni “autorizzate” meno che meno dai dirigenti della scuola, ma solo manifestazioni regolarmente comunicate agli organi di tutela dell’ordine pubblico e non esplicitamente vietate. Seconda richiesta: Andrebbe chiarito sempre ai medesimi docenti che lo Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria, (legge dello Stato, approvato con Decreto del Presidente della Repubblica 24 giugno al 1998, n. 249 e pubblicato in Gazzetta Ufficiale, 29 luglio 1998 n. 175) all’art. 4 comma 4 precede testualmente che: “in nessun caso può essere sanzionata, né direttamente né indirettamente, la libera espressione di opinioni correttamente manifestata e non lesiva dell’altrui personalità” e che la volontà di partecipare ad una manifestazione “non vietata” è una delle più classiche espressioni di opinione. Talché l’attività tesa a impedire tale espressione di opinione (esercitata attraverso azioni intimidatorie) oltre ad essere palesemente anticostituzionale, è, per gli strumenti utilizzati (minaccia di sanzioni disciplinari), in aperta contraddizione con le leggi che regolano la vita scolastica, tra cui il citato statuto.

A maggior chiarezza l’art. 7 comma 4 del d.P.R 122/09 prevede che il voto sulla condotta (altra minacciosa conseguenza delle sospensioni “per partecipazione alle manifestazioni di protesta”), si possa applicare esclusivamente in base ai principi dello statuto degli Studenti e che “In nessun modo le sanzioni sulla condotta possono essere applicate agli alunni che manifestino la propria opinione come previsto dall’articolo 21 della Costituzione della Repubblica italiana”. Art. 21 che tra l’altro recita, e di questi tempi è d’uopo ripeterlo:” Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.” Penultima richiesta: l’art. 26 del suo regolamento tratta la partecipazione alle manifestazioni di protesta come “un organizzato rifiuto, sia pure limitato nel tempo, dell’Istituzione scolastica” rispetto al quale appare indispensabile,, secondo il medesimo regolamento, una “collaborazione nella prospettiva di una comune concordata azione educativa”. Come se la partecipazione ad una manifestazione, ad una vertenza od anche ad una battaglia generale nella società non fosse sintomo di disagio e/o di rinnovata maturità, responsabilità e protagonismo degli studenti, ma una sorta di malattia mentale da curare o comportamento deviato da correggere. E su questa motivazione, a dir poco stupefacente e offensiva per i ragazzi, scritta impudentemente nel corpo del regolamento, che sono fondate le ragioni delle procedure previste in caso di assenza collettiva. Con questo ragionamento e con le conseguenti disposizioni il regolamento del Suo istituto nega in un sol colpo e alla radice non solo il diritto dello studente ad esprimere le proprie opinioni nelle forme non vietate dalla legge, e dunque anche con le manifestazioni in luoghi pubblici, ma la stessa importanza dello sviluppo della “conoscenza critica” prevista dall’art. 1 dello Statuto delle studentesse e degli studenti, il diritto di associazione degli studenti, previsto dal comma 10 dell’art. 2 del medesimo Statuto. Comprendo la necessità di assicurare che lo studente frequenti regolarmente il corso di studi, dovere previsto dall’art. 3 dello statuto. Ma ciò si può tranquillamente ottenere senza fare forzose distinzioni tra assenze collettive e individuali: ovvero, se proprio queste distinzioni fosse necessario farle, la conseguenza dovrebbe essere un alleggerimento della giustifica per le assenze collettive legate a manifestazioni pubbliche. Per esempio, si potrebbe prevedere che la partecipazione a manifestazioni di protesta, essendo una delle forma di crescita della conoscenza critica, non dovrebbe avere bisogno della giustificazione scritta del genitore, ma solo della certezza che, in caso di studenti minori, i genitori siano al corrente della partecipazione del ragazzo alla manifestazione. L’attuale formulazione del regolamento è nelle motivazioni, nello spirito e nelle modalità attuative in aperto contrasto con l’art. 17 e l’art. 21 della costituzione, nonché, per le conseguenze sanzionatorie che prevede, con l’art 4 comma 4 dello statuto (DPR 249/98) e con l’art 7 comma 4 DPR 122/09. Esso va assolutamente modificato nel senso di garantire la libertà di espressione delle opinioni agli studenti.

Ultima richiesta: per gli stessi motivi di cui sopra va assolutamente modificato l’art. 27 del regolamento del Suo istituto che addirittura arriva a negare testualmente ciò che lo Statuto (che ripeto, è legge dello Stato) garantisce. Il regolamento: infatti, dovrebbe, al contrario di quanto previsto dall’art. 27 (degno seguito dell’art. 26) garantire e disciplinare, ai sensi dell’art. 2 comma 10 del citato Statuto “l’esercizio del diritto di associazione all’interno della scuola secondaria superiore, del diritto degli studenti singoli e associati a svolgere iniziative all’interno della scuola, nonché l’utilizzo di locali da parte di studenti e delle associazioni di cui fanno parte” e addirittura favorire “la continuità del legame con gli ex studenti e con le loro associazioni”. Tali eventualità sono, nell’art 27 del regolamento del Suo istituto, invece trattate solo in negativo, al fine di vietare preventivamente ogni forma di gestione diretta o autogestione degli spazi, senza alcun rispetto per l’intelligenza critica che gli studenti mostrano e che la scuola dovrebbe favorire e non reprimere. Scusandomi per essermi dilungato troppo, Le porgo i miei più cordiali saluti e le ribadisco l’invito a godersi, Lei e i suoi collaboratori, un po’ d’aria nuova il 15 ottobre a Roma. E la mia disponibilità ad accompagnarLa”.

Giosuè Bove partirà alla volta della capitale, assieme a moltissime persone, la preside probabilmente no, resterà a Caserta con i suoi fidi collaboratori.

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