Quali sono le fasce d’età più colpite e quali le varianti prevalenti in rianimazione? Qual è la quota di vaccinati e di coloro che invece si ostinano ad affrontare a mani nude il Coronavirus? E poi: quali sono le patologie preesistenti, le fragilità, il decorso clinico, il tempo medio dei ricoveri, la risposta alle terapie e gli esiti dell’infezione? È una vera e propria radiografia quella che abbiamo provato a compiere, mettendo a fuoco un mese di attività cliniche svolte presso la rianimazione Covid dell’azienda dei Colli (Cotugno e Monaldi). Un modo per tracciare un bilancio degli esiti della attuale ondata e anche per provare ad anticipare l’orizzonte che si profila nel futuro prossimo. Il periodo preso in considerazione va dal 31 dicembre scorso al 16 gennaio. Ecco i numeri: sono in totale 67 i casi Covid ricoverati nel lasso di tempo considerato, 46 i pazienti non vaccinati e tutti intubati tranne uno, no vax “radicale”, che ha rifiutato le cure ed è tutt’ora ricoverato. In totale si contano invece 21 pazienti che hanno contratto l’infezione da vaccinati, circa il 31% a fronte però dell’80 per cento di popolazione campana vaccinata. Di questi 13 avevano all’attivo due dosi ma effettuate da più di 120 giorni, 6 con 3 dosi effettuate pochi giorni prima di contrarre l’infezione. Due di essi infine, hanno all’attivo una sola dose. Attenzione, su questo fronte emerge un altro dato clinico significativo: tutti i soggetti vaccinati che hanno contratto il Covid, al di là dell’età, sono riconducibili a profili clinici di grave vulnerabilità e fragilità preesistenti. Pazienti immunodepressi per essere trapiantati, vittime di precedenti ictus, di malattie neoplastiche, polmonari e cardiovascolari. In due casi sono finiti in rianimazione per un aneurisma dell’aorta e per una perforazione intestinale, senza polmonite da Covid. Situazioni in cui, pur in rianimazione, la malattia prevalente non è la polmonite da Covid ma in cui l’infezione si presenta come la goccia che fa traboccare un vaso già colmo di acciacchi e gravi pregiudizi alla loro salute.

«La quasi totalità dei malati vaccinati finiti nella nostra rianimazione Covid, al Monaldi e al Cotugno, non ha avuto bisogno di essere intubato – conferma Antonio Corcione, direttore del dipartimento di Anestesia e Rianimazione dell’azienda dei Colli – e pur necessitando di ventilazione intensiva nessuno di essi ha sviluppato la polmonite bilaterale che vediamo quasi esclusivamente nei malati che non si sono voluti vaccinare». Un discorso a parte vale per le varianti del virus presenti nella rianimazione dell’ospedale dei Colli: tutti i 67 casi sono stati sottoposti a sequenziamento del genoma virale estratto dal tampone di ingresso. In totale sono state individuate 19 varianti Omicron, 3 ceppi Delta, 25 sottovarianti della stessa famiglia Delta e infine altre 20 sequenze non ben tipizzate per insufficienza dei campioni. Un altro dato saliente è relativo all’età dei malati: un unico caso ha 36 anni, non vaccinato e colpito da Delta, ricoverato il 30 dicembre e dimesso il 16 gennaio. Poi si contano 3 casi dai 41 ai 49 anni, 8 malati dai 50 ai 59 anni, 12 pazienti dai 60 a 69 anni con Il grosso dei ricoverati che va dai 70 agli 88 anni, età in cui fatalmente si concentrano anche i decessi che con l’arrivo di Omicron sono diventate meno incidenti. «Fino a poche settimane fa – conclude Corcione – scontavamo anche l’80 per cento di mortalità in rianimazione anche in ragione del fatto che qui giungono i casi disperati, pazienti che sono stati molto tempo a casa, curati con ritardo perché non vaccinati ma nelle ultime tre settimane il tasso dei decessi si è abbassato al 60 per cento. Un buon segno, quando avremo superato la scia lunga dell’ondata Delta l’impressione è che Omicron farà meno casi da rianimazione a patto tuttavia di vaccinarsi e di tenere sempre alta la guardia. Dovremo continuare a difenderci da questo virus in quanto si abbatte sulle persone più fragili dove provoca sempre danni».

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