E’ il mio j’accuse. I governi degli ultimi trent’anni non hanno difeso il patrimonio culturale, ne’ l’hanno valorizzato”. Parla chiaro Mario Resca, l’ex direttore della Valorizzazione dei Beni culturali che ha appena lasciato la scrivania del dicastero, dopo tre anni, per scadenza del contratto. “Io – spiega in una intervista al quotidiano ‘Il Tempo’ – non penso alla mercificazione della cultura. Dico pero’ che quelli culturali sono i nostri beni capaci di tirarci fuori dalla crisi. Posti di lavoro ai giovani non li danno le fabbriche, che stanno chiudendo. Possono venire dall’industria turistica. I cinesi che visitano l’Italia, come altri stranieri, non vanno al mare, ma nei musei, nei parchi archeologici, nelle citta’ d’arte”.
Di questi tre anni ha buoni ricordi: “i manifesti, quelli delle campagne pubblicitarie che ho ideato appena cominciato il mio lavoro al Collegio Romano. Una gru smantella il Colosseo, e la didascalia dice ‘Se non lo visiti lo portiamo via’”. Nel periodo che lo ha visto alla guida della Valorizzazione non sono mancate, pero’, le critiche e i relativi articoli di giornali, custoditi nella scrivania anche quelli: “Certo che ci sono. Ma, guarda caso, le notizie sui Beni Culturali si sono triplicate negli anni del mio lavoro. Era quello che volevo. Ho inteso la valorizzazione del patrimonio culturale, di cui parla l’articolo 9 della Costituzione, come comunicazione. La Direzione ad hoc, nata con il mio incarico, ha avuto questo fine. Alcuni risultati li ho ottenuti”. E’ recente il plauso del Giornale dell’Arte di Allemandi: “Sa cosa ha detto l’editore qualche settimana fa? Che in Italia ci sono quattro Mario: Monti, Draghi, Balotelli e Resca”. ma ci sono stati anche altri dietrofront: “Quello di Antonio Paolucci”, per esempio. Resca poi entra nel merito dei mali dei Beni culturali: “Non si tratta solo delle esigue risorse finanziare, ma di risorse umane. La governance del ministero e’ inadeguata. L’ho capito non stando dietro la mia scrivania ma andando in giro, senza preavviso, nel Bel Paese. Il merito conta poco, e’ soffocato da posizioni cristallizzate e dalla burocrazia. Il direttore di un museo archeologico sara’ un grande studioso, ma probabilmente non ha le competenze per trattare con i sindacati, indire gare d’appalto, gestire il personale”. Resca non si tira indietro quando si tratta di scattare una foto dei tre ministri con ha lavorato. “Bondi – dice Resca – ha convinto me, che avevo creato Confimprese proprio per snellire la burocrazia, a farmi paracadutare nelle “linee nemiche”, quelle di un ministero. Mi ha dato fiducia e carta bianca, entro i limiti di legge. Ha creato la Direzione della Valorizzazione distinguendola da quella della Tutela. E’ stato ingiustamente messo da parte e fatto capro espiatorio dei crolli a Pompei. Pompei, come Villa Adriana o Paestum, crollano da anni, anche ora”. E Galan e Ornaghi? “Col primo ho avuto un rapporto dialettico e di contrapposizione. Il progetto per la Grande Brera, della quale ero commissario, e’ rimasto monco per l’incapacita’ politica di sostenermi. Ornaghi e’ persona di cultura, mi ha lasciato lavorare. Con lui pero’ solo incontri formali, certamente non intensi come quelli avuti con Bondi”. In che cosa lei ha vinto? “Con le campagne di comunicazione e con iniziative promozionali, come l’ingresso gratuito nel giorno del compleanno o di San Valentino per le coppie, ho aumentato i visitatori di un inaspettato 12 per cento, mentre mi aspettavo il 6. Accendere l’interesse e’ fondamentale. La strategia si porta appresso anche l’aumento dei biglietti. Altro grande risultato, il padiglione permanente italiano al Museo di Pechino, in piazza Tien An Men. Siamo l’unico Paese ad aver ottenuto tanto in Cina”. Un rammarico? “Non aver attuato la riforma per i servizi museali, introducendo la liberalizzazione delle gare d’appalto. Mi sono scontrato con resistenze enormi per mantenere contratti che durano da troppo. Invece garantire ristorazione, libreria, accoglienza migliore e’ rendere attrattivo un museo, come avviene in tutte le metropoli. All’estero ogni visitatore oltre all’ingresso spende 15 euro di servizi. Da noi tre euro. Chiedetevi perche’ – rimarca infine Resca – la cultura in Italia non rende”.