I centri pubblici di procreazione assistita saranno obbligati ad effettuare il test di diagnosi preimpianto sugli embrioni se la coppia lo richiede, e se non fossero attrezzati per poterlo fare devono ricorrere ad altre strutture sanitarie assicurando comunque il servizio.

E’ la ‘svolta’ sancita dalla nuova sentenza del Tribunale di Cagliari che, accettando il ricorso di una coppia di talassemici (lei malata di talassemia major e lui portatore sano), ha ordinato al laboratorio di citogenetica dell’ospedale microcitemico di Cagliari di eseguire l’indagine diagnostica a seguito della fecondazione in vitro della coppia ricorrente. Il punto, rileva il segretario dell’Associazione Coscioni Filomena Gallo, durante una conferenza stampa alla Camera per illustrare la sentenza, è che la legge 40 sulla procreazione assistita già prevede la possibilità di effettuare il test prenatale: infatti, la sentenza del Tar del 2008 ha eliminato il divieto alla diagnosi preimpianto contenuto originariamente nella legge, e ciò è stato recepito dalle linee guida alla legge emanate nel 2008 dall’allora ministro della Salute Livia Turco. Dunque, la legge 40, agli articoli 13 e 14, consente le indagini diagnostiche sugli embrioni, purché non abbiano una finalità eugenetica. Sino ad oggi, però, tali diagnosi sono state fatte solo in centri privati e con un costo che varia dai 6 ai 9mila euro, poiché “nessuno dei 76 centri pubblici, su un totale di 357 centri di fecondazione attivi in Italia, esegue il test, e ciò – afferma Gallo – in osservanza del ‘diktat’ stabilito dal’ex sottosegretario alla Salute Eugenia Roccella”. E’ partendo da tali premesse che la coppia talassemica in questione che si è vista rifiutare il test prenatale, ha deciso di fare ricorso. E per la prima volta, un giudice ha ordinato ad una struttura pubblica di garantire tale tecnica diagnostica, anche tramite il ricorso ad altre strutture. Cosa succederà dunque da domani? “Se una coppia nelle stesse condizioni della ricorrente si vedesse rifiutato il test di diagnosi prenatale – spiega Gallo – dovrebbe comunque avviare un’azione legale, ma questa sentenza rappresenta un precedente determinante, e con tutta probabilità il ricorso andrebbe a buon fine”. Questa, rileva il vice presidente del Senato Emma Bonino, è la “sentenza numero 19 contro una legge ideologica”. E se da Pd e Idv viene ribadita la richiesta di riscrivere la legge 40, Roccella (Pdl) afferma come il tribunale di Cagliari ha “sostanzialmente decretato il pericoloso criterio che una persona affetta da talassemia ha meno diritto a nascere di una persona sana”: E’ “urgente – rileva – che il ministro Balduzzi emani le nuove linee guida per una corretta applicazione della legge” e per “arginare la tendenza a interpretazioni creative da parte della magistratura”. Di fatto, come afferma Livia Turco (Pd), la legge 40 si sta cambiando “a colpi di sentenza”. E nuovi ‘colpi’ sono in arrivo: a breve, forse entro dicembre, ha annunciato Gallo, sono infatti attese nuove sentenze da parte di dieci tribunali in merito ad altri aspetti ‘caldi’ della legge, ovvero la fecondazione eterologa, l’utero ‘in prestito’ e l’utilizzo degli embrioni abbandonati ai fini di Ricerca. Intanto, ferve il dibattito parlamentare: la norma approvata la scorsa settimana che permette il disconoscimento da parte della madre dei figli nati ‘in provetta’, apre la possibilità all”utero in affittò e ai bambini alle coppie gay, come emerso in una riunione informale in commissione affari sociali. Tuttavia l’emendamento in questione, afferma la radicale Antonietta Farina Coscioni, è stato “affossato dopo il clamore suscitato dalla sua approvazione”.

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