Un monolite lungo 12 metri, un blocco di roccia lavorato da popolazioni antichissime e sommerso dalle acque del Mediterraneo alla fine dell’ultima glaciazione. Gli ultimi a vederlo furono uomini vissuti 9500 anni fa, cioè circa 5mila anni prima della costruzione di Stonehenge in Inghilterra.
È la straordinaria scoperta effettuata nel Canale di Sicilia da un team internazionale guidato dai geologi dell’OGS, l’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale di Trieste. Il monolite presenta fori regolari su alcuni dei suoi lati e un foro che lo attraversa per intero in una sua estremità. Si trova a 40 metri di profondità, in una zona compresa fra le coste della Sicilia e l’isola di Pantelleria. In quel luogo un tempo si estendeva un arcipelago, isole poi cancellate dall’innalzamento del mare dovuto allo scioglimento delle calotte glaciali. Il sito, di età Mesolitica, è uno dei siti archeologici sommersi più antichi finora conosciuti e risale all’epoca delle strutture di Göbekli Tepe in Turchia, il primo esempio noto di tempio in pietra. Grazie a una serie di studi guidati dall’OGS con la collaborazione dell’Università di Tel Aviv, dell’Arma dei Carabinieri e di un gruppo di sub professionisti della Global Underwater Explorers, è stato possibile riportare alla luce una pagina di storia finora sconosciuta. “Attraverso l’analisi dei dati raccolti (batimetria ad alta risoluzione, campionamenti, osservazioni fotografiche e video) e il confronto con l’andamento della variazione del livello del mare, abbiamo potuto potuto ricostruire la storia dell’abbandono di questo sito, avvenuta intorno a 9500 anni fa”, spiega Emanuele Lodolo, ricercatore dell’OGS e coordinatore dello studio. I dati, recentemente pubblicati sul Journal of Archaeological Science: Reports, dimostrano che le popolazioni dell’epoca possedevano già nozioni relativamente avanzate in molti settori. Il monolite scoperto ha richiesto attività di taglio, estrazione, trasporto ed installazione che rivelano importanti competenze tecniche e ingegneristiche. I nostri antenati che popolavano quelle isole avevano le conoscenze, l’abilità e la tecnologia per sfruttare le risorse naturali e effettuare traversate marittime. Come prova questo ritrovamento, per conoscere meglio quell’epoca gli archeologi dovranno indossare le mute da sub. “Una vasta documentazione archeologica dei primi insediamenti umani è ancora sepolta nelle aree di mare basso delle nostre piattaforme continentali, che erano emerse durante l’ultimo massimo glaciale – dice Emanuele Lodolo – Quasi tutto ciò che sappiamo delle culture preistoriche deriva principalmente dagli studi condotti sugli insediamenti a terra. Per trovare le radici della civiltà nella regione del Mediterraneo, è necessario concentrare la ricerca nelle aree di mare basso ora sommerse: questa sarà la sfida della moderna archeologia”.