E’ stata completata la mappa del Dna del pomodoro. Il lavoro, al quale Nature dedica la copertina, e’ frutto di una ricerca internazionale coordinata dagli italiani, Giovanni Giuliano dell’Enea, Luigi Frusciante dell’universita’ Federico II di Napoli e Giorgio Valle dell’universita’ di Padova.

Il risultato, sottolineano gli esperti, potrebbe contribuire a migliorare la produzione dei pomodori e a combattere i parassiti e la siccita’. ”Il pomodoro – ha osservato Giuliano – e’ la seconda pianta orticola piu’ coltivata al mondo, dopo la patata e ogni anno se ne producono circa 120-130 milioni di tonnellate”. Le analisi delle sequenze forniscono informazioni sui geni che controllano le caratteristiche del frutto e hanno implicazioni anche per migliorare la qualita’ anche di altre specie di piante come fragole, mele, meloni, banane e molti altri frutti carnosi che condividono alcune caratteristiche con i pomodori. I ricercatori hanno sequenziato il Dna sia della specie di pomodoro coltivata, Solanum lycopersicum, sia della specie selvatica progenitrice, Solanum pimpinellifolium. Entrambe appartengono alla famiglia delle Solanacee, che comprende la patata, il peperone e la melanzana, ma anche piante ornamentali come la petunia. Le mappe del genoma di queste piante rivelano l’ordine e la struttura dei loro 35.000 geni. La sequenza ha rivelato anche una delle basi molecolari grazie alla quale le solanacee si sono adattati agli ecosistemi piu’ diversi. ”Il genoma di pomodoro – ha proseguito Giuliano – si e’ ‘triplicato’ improvvisamente circa 60 milioni di anni fa”. ”Successivamente, – ha aggiunto – la maggior parte dei geni triplicati sono stati persi, e la pianta e’ ritornata diploide, ossia formata da coppie di geni” e i geni superstiti si sono specializzati e oggi controllano caratteristiche importanti della pianta, come quelle della bacca, il tempo di maturazione, la consistenza e la pigmentazione rossa. Il lavoro si deve al Tomato Genome Consortium, che comprende anche ricercatori del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr), universita’ di Udine e Scuola Sant’Anna. Le ricerche italiane sono state finanziate dai ministeri dell’Universita’ e la Ricerca e dell’Agricoltura e dall’Unione Europea.

 

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