E’ stato realizzato il primo circuito a base di Dna. E’ un vero e proprio transistor biologico ed apre la strada ai futuri computer ‘viventi’ che operano basandosi sulle funzioni dei geni. Descritto sulla rivista Science, il risultato si deve a un gruppo di ricerca delle universita’ americane di Stanford e della Pennsylvania.
A differenza dei tradizionali transistor che controllano il flusso di elettroni lungo un circuito, il primo transistor che funziona con la molecola della vita controlla il flusso di una proteina, chiamata Rna polimerasi, lungo un filamento di Dna. Transistor come questi possono consentire di eseguire ‘calcoli’ all’interno delle cellule viventi per registrare, per esempio, quando le cellule sono esposte a determinati stimoli esterni o per accenderne e spegnerne la riproduzione. Chiamato ‘trascrittore’, il circuito e’ stato realizzato all’interno di un batterio combinando fra loro dei geni chiamati integrasi in modo da controllare il flusso della proteina lungo un filamento di Dna.
Due geni codificano i flussi in entrata, mentre un gene codifica i flussi in uscita. ”Esistono enzimi che sono in grado di tagliare frammenti di Dna e invertirli: uno di queste e’ l’integrasi”, spiega la biochimica Anna Tramontano, dell’universita’ Sapienza di Roma. Per esempio, prosegue, se il frammento di Dna da invertire significa ‘stop’, nel momento in cui viene invertito cambia significato. In questo modo si riesce ad impartire dei comandi alla cellula. ”La scelta degli enzimi e’ importante”, osserva il coordinatore del lavoro, Jerome Bonnet dell’universita’ di Stanford. ”Siamo stati attenti – prosegue – a selezionare enzimi che funzionano in batteri, funghi, piante e animali, in modo che i bio-computer possano essere costruiti all’interno di una varieta’ di organismi”.
Il transistor a Dna ha la funzione di una porta logica simile a quelle utilizzate nei computer e basate sulla logica booleana nella quale 1 e 2 assumono il significato di vero o falso: rispondendo ‘vero’ la porta si apre, con ‘falso’ si chiude. L’aspetto interessante e’ proprio questo, sottolinea Tramontano: ”si riesce a far eseguire alla cellula operazioni con una logica booleana, che e’ alla base dei computer, e si riesce ad amplificare il segnale”. Da sole le porte logiche non costituiscono un computer biologico, c’e’ bisogno di altri sistemi. Ma in ogni caso, rileva l’esperta, i ricercatori ”sono riusciti a fare una cosa molto complessa in modo semplice ed elegante”.