In un periodo che vede gli spazi giornalistici di ogni genere quasi esclusivamente occupati dal teatro politico, a tratti intervallato da tragici eventi di cronaca, non è sfuggita agli addetti al settore la notizia della sentenza 79/2013 con la quale la Corte Costituzionale, lo scorso 3 maggio, accogliendo il ricorso del Consiglio dei Ministri, ha bocciato la Legge Regionale 19/2012 con cui la Regione Campania aveva istituito quel registro tumori che tante polemiche aveva sollevato per la questione della copertura finanziaria che, in contrasto con le norme di revisione della spesa emanate dal governo Monti, è stata poi l’oggetto del ricorso presentato dal CdM lo scorso mese di settembre.

Tale notizia, infatti, è stata un boccone molto amaro da mandare giù per i numerosissimi attivisti presenti in un territorio tanto complicato come quello tra le province di Napoli e Caserta. Uomini e donne che da anni lottano strenuamente per cercare di dare giustizia alle decine di migliaia di morti che ogni anno affollano le liste dei decessi per patologie tumorali, e che speravano di potersi dotare finalmente di uno strumento valido a dimostrare, probabilmente più a loro stessi che alle figure autorevoli che continuano a negarlo, che quel famigerato nesso causale tra morti per cancro e inquinamento da rifiuti non per niente è una suggestione collettiva ma un dato reale e inconfutabile.

Scorrendo le pagine della sentenza, si comprende benissimo il giudizio con cui la Consulta, sul piano economico, ha evidenziato come l’istituzione del registro tumori fosse in netto contrasto con quel Piano di rientro del disavanzo regionale disposto qualche anno prima per mettere i conti in ordine in un settore in perenne emorragia come quello sanitario. Quello che invece suona strano è come il Presidente della Regione, Stefano Caldoro, e con lui l’intero consiglio regionale, abbia votato all’unanimità una legge nella quale erano riscontrabili degli elementi contrastanti un Piano di rientro che lo stesso Caldoro aveva prodotto in qualità di commissario ad acta per la Sanità. Un paradosso tipicamente campano che si è poi concretizzato nella violazione, secondo la Corte Costituzionale, degli articoli 117 e 120 della Costituzione.

La ciliegina sulla torta, infine, è la decisione inquietante della Regione Campania di non costituirsi in giudizio in questa vicenda il che la pone nella condizione di essere condannata in contumacia. Posizione che se non suona come un’ammissione di colpa, poco ci manca, ma che in ogni caso obbliga a un serio mea culpa i vertici regionali da cui trarre le opportune conseguenze.

Resta da capire, a questo punto, quali sono le prospettive aperte dalle dichiarazioni del Presidente del Consiglio Regionale, Paolo Romano, che in una recente conferenza stampa a Santa Maria Capua Vetere ha sottolineato con orgoglio il traguardo del pareggio di bilancio raggiunto proprio nel settore sanità. Dove il rientro da un disavanzo di ben 900 milioni di euro «…consente – ha affermato Romano – di pensare a nuove misure per l’occupazione, e soprattutto obbliga a una gestione virtuosa del settore, libera da tutti quegli sprechi che negli anni si sono tradotti in un impegno del 70% delle risorse regionali».

Vincenzo Viglione

 

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