Si improvvisano virologi, esperti di epidemia e di medicinali. Si rifanno ad alcuni dati riportati (distorti) da fonti ufficiali, come per esempio l’Aifa (Agenzia italiana per il farmaco). E alla fine riescono a convincere le persone a non farsi inoculare il farmaco anti-Covid perché è pericoloso, modifica il dna, causa la morte, rende infertili e fa persino venire il cancro. La pandemia ha dimostrato, semmai ce ne fosse bisogno, quanto siano pericolosi i social media se usati per manipolare informazioni e indirizzare le scelte delle persone.
Secondo un report della neo Fondazione per la Medicina Sociale e l’Innovazione Tecnologica (Mesit), realizzato in collaborazione con Reputation Manager e con Eehta-Ceis dell’Università Tor Vergata di Roma, in Italia oltre 909 mila persone seguono pagine, canali o gruppi Facebook e Telegram dedicati ai vaccini. Ma oltre la metà (457 mila) segue gruppi e pagine di no vax. E il fenomeno continua a crescere, senza controllo. Tra marzo e maggio di quest’anno, gli utenti no vax sono infatti più che raddoppiati (+136%). I post sui pericoli dei vaccini si diffondono a dismisura. A maggio, un gruppo Facebook contro i vaccini ha pubblicato circa 300 contenuti al giorno. Stessa attività frenetica anche per un altro gruppo no vax: circa 120 post al giorno. Chi vuole fare disinformazione occupa ormai tutti i canali del web. Su Telegram gli utenti no vax sono 40 mila (+135% in due mesi). Anche qui chi diffonde false notizie sui vaccini lo fa a tempo pieno. A maggio, un gruppo Telegram dedicato agli eventi avversi legati ai vaccini anti Covid-19 è cresciuto di oltre 7 mila membri. Un altro gruppo no vax ha pubblicato oltre 40 contenuti ogni ora.
Ad alimentare la disinformazione in modo devastante, però, come ha messo in evidenza il Center for countering digital hate e l’Anti-vax watch, ci sarebbero 12 persone, responsabili del 65 per cento di tutti i post e i messaggi condivisi su Facebook e Twitter. Ma non si tratta di sprovveduti. Tra tutti, per esempio, spicca il nome addirittura di Robert F.Kennedy jr, nipote dell’ex presidente americano, da mesi molto attivo sui social con le sue teorie contro i vaccini. Tra i no vax famosi pure due medici osteopata, Joseph Mercola e Sherri Tenpenny e il film maker Andrew Wakefield. Le fake news fanno leva sulle paure, e si concentrano quindi sugli effetti dei vaccini anti-Covid (49,3%), oppure sminuiscono la sicurezza del farmaco, che continuano a definire sperimentale (18,2%). C’è poi chi, pur non avendo alcuna competenza scientifica, si avventura in disquisizioni di tipo chimico, spiegando come è composto il vaccino (11,3%). Gli aspiranti economisti del web, invece, pensano di avere in tasca la verità: a spingere per le campagne vaccinali ci sarebbero in realtà gli interessi delle case farmaceutiche (10,9%). Non manca poi persino chi invece ritiene sia tutto un complotto orchestrato addirittura ai danni dell’intera umanità. «Purtroppo quando una fake news rimane sul web, molte persone sono convinte che quella notizia sia vera – spiega Francesco Saverio Mennini, professore di economia sanitaria all’università Tor Vergata di Roma e presidente della Sihta (Società italiana health tecnology assessment) – Osserviamo un inquinamento delle informazioni. Chi fa disinformazione parte da notizie reali e le manipola. Purtroppo, persino persone con un livello socio culturale elevato tendono a crederci. Bisogna attivare sistemi di monitoraggio e controllo e parimenti – suggerisce Mennini – occorre veicolare le informazioni corrette con gli stessi strumenti che utilizzano queste persone». I danni per la salute della collettività sono sempre più evidenti. «Come abbiamo dimostrato in uno studio recente insieme alla Kingston University – spiega Mennini – se non completiamo la copertura vaccinale per settembre, e ci spingiamo fino a dicembre, non solo rischiamo di veder morire tante altre persone, ma avremo un grosso danno dal punto di vista economico. Potremmo insomma perdere nel 2021 circa 100 miliardi di euro e nel 2022 altri 110 miliardi per un effetto trascinamento. Ossia, quasi 6 punti di pil ogni anno».