Si dice che «il Covid cammina con le gambe degli esseri umani», ed effettivamente è così. Quindi, la curva dell’aumento dei contagi è profondamente legata alla crescita della contagiosità ma anche allo spostamento delle persone. Più ci si muove, infatti, più è alta la possibilità che si possa prendere il virus Sars Cov-2. Ma con le scuole aperte, cosa potrà succedere? La pandemia ha dimostrato che tutto è in evoluzione, e che quindi le regole che venivano seguite nel 2020 oggi possono essere mutate per fattori diversi (tra questi, anche la profonda campagna vaccinale che ha dimostrato di saper ridurre i ricoveri e i casi gravi). Con la fine delle vacanze di Natale le scuole riaprono i battenti. E a spiegare cosa potrebbe accadere ci hanno pensato gli esperti statunitensi dei Cdc, i Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie. Anche loro, come i colleghi italiani, hanno analizzati i pro e i contro. Da una parte, c’è che la «limitata istruzione in presenza durante la pandemia potrebbe aver avuto un effetto negativo sull’apprendimento dei bambini e sul benessere mentale ed emotivo di genitori e bimbi». Dall’altra, le proiezioni sulle vaccinazioni anche su più piccoli, con più di 5 anni, che vengono visti come un progresso nella lotta al Covid. L’aumento dei tassi di immunizzazione, infatti, «influenzerà probabilmente i modelli di trasmissione nelle scuole e nelle comunità».Le ricerche scientifiche fatte finora sui contagi a scuola non tengono conto delle varianti del virus. Quindi, non si può definire con precisione quali siano gli effetti della Omicron sulla didattica in presenza. Ciò che è accaduto tra 2020 e 2021, però, spiegano gli esperti Usa, non è «direttamente paragonabile» con quello che sta avvenendo nell’anno scolastico 2021-2022.
Sono cinque i fattori che secondo i Cdc dovranno essere considerati: le varianti circolanti, l’epidemiologia del Covid-19 tra gli studenti e tra il personale, la copertura vaccinale e le misure di mitigazione messe in atto per prevenire la trasmissione. C’è un fattore che gli specialisti chiedono di analizzare: il livello di trasmissione della comunità, quindi guardare ben oltre le mura dell’istituto. «Le scuole dovrebbero considerare i livelli di trasmissione nella comunità, mentre valutano il rischio di trasmissione all’interno della loro scuola – Se la trasmissione nella comunità è alta e il livello di vaccinazione nella comunità è basso, è più probabile che gli studenti e il personale vengano a scuola mentre sono infetti e introducano Sars Cov-2». Un lavoro del National Center for Research on Education Access and Choice ha confrontato i dati dei ricoveri con l’attività scolastica e «non ha rilevato alcun effetto della riapertura» della didattica in presenza con l’aumento delle ospedalizzazioni quando questi ultimi valori sono «bassi o moderati». «L’associazione tra l’incidenza del Covid-19, la trasmissione del virus negli ambienti scolastici e i livelli di trasmissione nella comunità sottolineano l’importanza della diffusione della malattia», nella comunità stessa «per proteggere insegnanti, personale e studenti». Quindi, quale può essere il rischio? Gli studiosi citano uno studio condotto in Israele a maggio 2020 di un focolaio di Covid in una scuola superiore 10 giorni dopo la riapertura dell’istituto. Allora il troppo caldo, si legge sulla ricerca, portò i ragazzi a non usare la mascherina e gli istituti ad attivare gli impianti di aria condizionata. «Una significativa trasmissione secondaria dell’infezione da Sars Cov-2 si è verificata in ambito scolastico quando le strategie di prevenzione non sono state attuate o non sono state seguite», commentano i ricercatori Cdc. Ma il virus si trasmette di più o di meno in classe? «Numerosi studi hanno dimostrato che la trasmissione all’interno delle strutture scolastiche è in genere inferiore (o almeno simile), ai livelli di trasmissione nella comunità, quando nelle scuole sono in atto strategie di prevenzione», proseguono gli esperti. Tra le esperienze citate dagli statunitensi, anche quella italiana dell’Istituto europeo di oncologia di Milano, delle Università di Tor Vergata e Padova, dell’Istituto veneto di medicina molecolare di Padova, dell’Aulss 9 Scagliera e di Abanovus che è valsa la pubblicazione, a giugno dello scorso anno, su Lancet Regional Health Europe e che aveva dimostrato come l’apertura delle scuole non fossero state il «motore della seconda ondata di Covid-19» in Italia. Quali regole si possono seguire per limitare i contagi a scuola? Gli esperti americani consigliano l’uso delle mascherine in ambienti chiusi anche a chi ha più di due anni e, comunque, indipendentemente dalla vaccinazione (quindi, non vale la ‘regola’ di abbassarsela in qualunque contesto dicendo «tanto siamo vaccinati»). Nelle loro linee guida raccomandano il mantenimento di circa un metro di distanza tra gli studenti purché vengano massimizzate «altre strategie di prevenzione», come le mascherine, la vaccinazione, la ventilazione delle classi, la pulizia dell’aria, l’igiene frequente delle mani. Ultimo invito è quello di incoraggiare «bambini, adolescenti e personale a rimanere a casa quando hanno sintomi di Covid-19, o per coloro che non sono completamente vaccinati, quando sono stati in stretto contatto con qualcuno che ha o è un sospetto Covid».