La circostanza che il giornalista Enzo Palmesano fosse “inviso al clan e non solo a Vincenzo Lubrano (capo della cosca camorristica, ndr) per l’attenzione che il suo giornalismo di inchiesta portava sul sodalizio” è emersa da numerose fonti.
E’ quanto sottolineano i giudici del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere nelle motivazioni della sentenza che nel novembre scorso ha condannato a due anni di reclusione Francesco Cascella, giornalista e nipote acquisito del boss, per le presunte minacce che avrebbero comportato la fine della collaborazione di Palmesano con il quotidiano locale, Cronache di Caserta. Una vicenda ricostruita oggi dallo scrittore Roberto Saviano in un articolo su la Repubblica (“Il giornalista licenziato su ordine del boss nella terra di camorra padrona in redazione”). Cascella si fece portavoce presso il direttore del quotidiano come si legge nelle motivazioni della sentenza depositata nei mesi scorsi del messaggio di Lubrano che era infastidito dagli articoli di Palmesano e ne chiedeva la cessazione, soprattutto per i riferimenti contenuti negli articoli all’omicidio del figlio, ucciso in un agguato. Una circostanza venuta alla luce in seguito all’intercettazione ambientale di un colloquio tra Lubrano e Cascella. “Ebbene sottolineano i giudici effettivamente l’epurazione di Palmesano avrà luogo”. Nei confronti del giornalista, che inviava corrispondenze soprattutto dal suo territorio di Pignataro Maggiore, vi sarà un graduale “ridimensionamento” dell’attività, fino al definitivo allontanamento. “Che il giornalista fosse scomodo alla camorra locale si legge nella sentenza ha trovato ulteriori rilevanti conferme di natura oggettiva e dichiarativa”. Incomprensibili sono apparse ai giudici le spiegazioni fornite dal direttore del quotidiano il quale ha sostenuto, tra l’altro, che l’uso di pseudonomi da parte di Palmesano era da lui avvertito come “un comportamento inaccettabile sottolinea il Tribunale tanto da determinare la fine della sua collaborazione e proprio in quel frangente temporale (quello delle minacce del boss, ndr)”. Per i giudici Cascella nell’avvertire il direttore “della sussistenza dell’interesse dell’incontrastato e notorio boss, ha riportato un messaggio intimidatorio in forma larvata, utilizzando il metodo mafioso, perché ha utilizzato la forza intimidatoria del clan LubranoLigato che, in virtù delle promozioni di assoggettamento e omertà, non ha più bisogno di ricorrere a manifesti comportamenti di violenza e minaccia”.