“Per un anno intero, 23 ore su 24, sono rimasto chiuso in una cella, senza aver possibilità di andare in biblioteca o in palestra, con un’ora di aria al giorno, trattato come i boss di camorra, che anzi hanno avuto un trattamento migliore del mio”. Ripercorre la sua lunga detenzione – oltre 2 anni e mezzo di carcerazione preventiva con un intervallo di cinque mesi – l’ex sottosegretario del Pdl Nicola Cosentino al processo in cui è imputato al tribunale di Santa Maria Capua Vetere; lo fa durante il controesame dei suoi avvocati Agostino De Caro e Stefano Montone. “Mi costituì al carcere di Secondigliano (Napoli) nel marzo 2013, quando si insediò il nuovo Parlamento e decaddi dalla carica di deputato perdendo l’immunità; avrei potuto fuggire, come hanno fatto, peraltro sbagliando, numerosi parlamentari, penso a Matacena; e avrei potuto anche candidarmi con altri partiti, tra cui i Radicali che mi chiesero di farlo, ma non accettai perché il mio partito era Forza Italia e volevo difendermi nel processo”. “Fui inviato in una cella tre metri per tre – dice ancora l’ex sottosegretario – nel settore dove stavano gli ergastolani, soprattutto siciliani, calabresi e pugliesi, alcuni condannati per mafia. Per quindici giorni non sono uscito di cella, perché c’era un vociare polemico contro di me e la politica in generale. Mi aiutò ad integrarmi un giovane che poi seppi essere imparentato con il boss Provenzano, si chiamava Giuseppe Lo Bue. Quando fui scarcerato, nel novembre 2013, non ripresi a fare politica ma accettai solo l’invito di alcuni consiglieri regionali di Forza Italia che crearono un movimento locale, Forza Campania, che però non era in contrasto con il Pdl. Quando tornai in cella, pochi mesi dopo (aprile 2014), chiesi di non avere contatti con i detenuti perché uno di loro, durante la mia prima detenzione, era morto di Aids e io avevo paura. Fui così lasciato in una cella per un anno intero”, conclude l’ex coordinatore regionale del Pdl. L’esame degli avvocati proseguirà il 28 gennaio.

 

 

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