Partirà da oggi lo smistamento degli elementi contenuti nel dossier sulla rete di preti gay verso le rispettive diocesi di appartenenza. Francesco Mangiacapra, l’escort autore del faldone di 1200 pagine consegnato la scorsa settimana alla curia di Napoli, ieri è stato ricevuto da padre Luigi Ortaglio, cancelliere arcivescovile. «Ho firmato i verbali – ha affermato Mangiacapra al termine dell’incontro – da oggi parte lo smistamento ai vari vescovi che, ad ora, non hanno ancora ricevuto nulla, tant’è che le persone di cui parlo nel dossier svolgono ancora le loro mansioni. Sono comportamenti reiterati nel tempo, non legati a un singolo episodio magari accaduto anni fa». Tra le diocesi più coinvolte, secondo Mangiacapra, quella di Tursi-Lagonegro, in Basilicata. In Curia, spiega ancora Mangiacapra, «ho collaborato all’identificazione e allo smistamento del materiale da me fornito a supporto delle informazioni che ho fornito». «Non si tratta di accuse – dice – perché non ci sono reati penali e non si tratta di trattare l’omosessualità di qualcuno alla stregua di un crimine. Si tratta di sollecitare queste persone a fare un mea culpa relativo alla compatibilità tra il colletto bianco che si indossa e la condotta che si incarna». Nessun intento punitivo o ricattatorio. L’eventuale riduzione allo stato laicale delle persone coinvolte «non va visto come una punizione, ma come la possibilità di riflettere» sull’incoerenza tra «quanto si dice in pubblico e ciò che si fa nel privato». «Non c’è nulla di inventato nella documentazione – tiene a precisare – sono fatti circostanziati». Mangiacapra spiega, rispondendo alle affermazioni del cardinale Crescenzio Sepe il quale aveva parlato di «Diocesi di Napoli usata come ufficio postale», di non aver avuto questo intento consegnando il dossier alla Cancelleria arcivescovile partenopea, ma di aver individuato in padre Ortaglio un interlocutore, anche alla luce delle precedenti documentazioni a lui consegnate relative a Luca Morini, conosciuto come ‘don Eurò. «Sepe dovrebbe parlare di Chiesa in generale, lesa proprio in quanto Chiesa, senza dire che si sono solo due preti coinvolti a Napoli – evidenzia – Lo scaricabarile è un discorso politico, la mia vuole essere una riflessione». «Padre Ortaglio si è sentito leso per il peso di queste cose che ho documentato, che gli fanno male – aggiunge – questa è l’indole che dovrebbe avere un uomo di Chiesa in generale. Mi sono sentito accolto, ascoltato, non giudicato». «Mi batto per l’autodeterminazione e la libertà sessuale come base dei diritti civili e le mele marce all’interno della Chiesa sono un ostacolo al progresso civile – prosegue Mangiacapra – La mia è una causa ideologica, non ne traggo vantaggi personali, non ricevo né ho mai chiesto soldi per interviste, spazi in tv o per fornire materiale». E la visibilità che ne deriva «è relativa non a me in quanto persona, ma proprio alla causa ideologica che porto avanti. Perché, da persona che ha fatto una scelta (quella di gigolò ndr.) devo subire uno stigma da parte di chi in pubblico dice una cosa e in privato ne fa un’altra?». E, fa sapere, che sta circolando su WhatsApp, una lista, «a mia firma» che conterrebbe i nomi dei preti coinvolti: «Sono preti che non conosco e che, senza prove, si imputano come gay. Qualche sciacallo vuole usare il mio coraggio per infangare qualcuno. Il mio dossier, con prove circostanziate e nomi certi, è indirizzato alla persona da cui mi sono recato in Curia, che è una persona di fiducia, e non vuole innescare nessuna macchina del fango». «Dannoso e inutile fare il ‘totopretì – conduce – Quello che conta è riflettere. E per questo non servono i nomi».