“Non saranno questi scarafaggi a farmi andare via da Sessa Aurunca. Cercherò di riaprire l’azienda il prima possibile anche per i miei 30 lavoratori”. É determinato a proseguire la sua attività, aperta dal 1995, Antonio Picascia, l’imprenditore casertano cui, la scorsa notte, è stata incendiata la fabbrica, probabilmente da emissari del clan camorristico Esposito di Sessa Aurunca nel Casertano. A più riprese, nel 2007, nel 2010, nel 2012 e nel 2014, Picascia ha denunciato e fatto arrestare gli estorsori della cosca alleata del clan dei Casalesi. “Sono in attesa – spiega Picascia – di comunicazioni ufficiali da parte di carabinieri e vigili del fuoco sull’origine del rogo ma dai primi accertamenti sembra si tratti di un episodio doloso”. Ieri Picascia ha incontrato il presidente dell’Anac, Raffaele Cantone, durante la tappa del Festival dell’Impegno Civile. “Abbiamo parlato di legalità e giustizia – racconta Picascia – è stata una bella giornata, poi questa la brutta sorpresa”. Per Picascia il probabile atto intimidatorio di questa notte sarebbe la prima vera minaccia, perché “negli anni – spiega – nonostante le denunce, il clan non mi ha mai minacciato direttamente con i suoi affiliati ricorrendo però, come nel caso di don Peppe Diana, all’arma della calunnia. Ogni giorno mi arrivano lettere anonime in cui vengo accusato di tutto, in giro vengono sparse voci diffamanti sul mio conto. Ma io ho sempre cercato di non considerarle andando avanti nel mio lavoro”.

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