A conclusione di una complessa attività investigativa condotta dai Carabinieri del N.A.S. di Casetta e coordinata dalla Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, il G.I.P. del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha emesso Ordinanza di sequestro preventivo del laboratorio di analisi “DILORLAB S.a.s.” di Mondragone, nel quale venivano illecitamente effettuati esami, su capi bufalini presenti in molteplici aziende della provincia di Caserta o su partite di latte conferite ad aziende di caseificazione delle province di Casetta e Napoli, per la ricerca di eventuali positività alla brucellosi scientificamente conosciuta come “brucella abortus”. L’indagine nasce nel mese di luglio del 2013, in concomitanza con il “monitoraggio straordinario di polizia veterinaria finalizzato a verificare l’impiego illecito di vaccino antibucellare RB51 in tutti gli allevamenti bufalini della provincia di Casetta” disposto dal Ministero della Salute e tutt’ora in corso. Nell’ambito di tali attività è emerso che nel laboratorio di analisi di Mondragone, oggetto dell’odierno sequestro, contravvenendo alle disposizioni del Ministero della Salute che impongono il divieto di commercializzazione, detenzione ed utilizzazione, su tutto il territorio nazionale, di materiali per la diagnosi diretta o indiretta di malattie zoonotiche quali la tubercolosi, la brucellosi bovina e bufalina, la brucellosi ovicaprina e la leucosi, sono stati effettuati illeciti esami diagnostici per la determinazione della positività, all’infezione da “brucellosi”, su campioni ematici e di latte fatti pervenire da allevatori o da titolari di strutture casearie. Tali esami consentivano agli allevatori di venire a conoscenza dell’eventuale positività alla BRC di capi dei propri allevamenti, prima delle profilassi di Stato in maniera tale da poter intraprendere scelte economicamente più vantaggiose come la vendita o la macellazione dei capi o, comunque, valutare l’efficacia di un eventuale trattamento illecito col vaccino RB51, cagionando così un serio pericolo per gli inconsapevoli operatori del settore che venivano a contatto con i capi infetti, oltre a determinare, nell’ambito del particolare e prezioso patrimonio zootecnico, la diffusione di una malattia infettiva. I riscontri effettuati sui singoli capi risultati positivi alla brucellosi, in base alle indagini diagnostiche effettuate dal citato laboratorio, hanno permesso di dimostrare: – che gran parte di detti capi sono stati inviati in diverse aziende di macellazione presenti sul territorio nazionale, senza alcun vincolo sanitario e senza l’indicazione della positività alla brucellosi, con conseguente destinazione alla libera commercializzazione delle carni e delle frattaglie; – che il latte prodotto dai medesimi animali infetti è stato regolarmente conferito ad aziende di caseificazione; Al riguardo è da sottolineare che sebbene l’esposizione ad animali infetti e loro derivati comporta, in linea generale, solo un rischio professionale per gli operatori del settore, poiché la pastorizzazione del latte e la cottura delle carni sono sufficienti per distruggere il batterio della brucella (62°C per 1 minuto), il pericolo di contaminazione crociata (cosiddetta secondaria) di altri alimenti che in qualche modo sarebbero potuti venire a contatto con quelli potenzialmente infetti costituiva, nella fattispecie, un’ulteriore minaccia per la salute pubblica. Nel corso delle indagini oltre al sequestro di confezioni del kit diagnostico denominato “rosa bengala” illecitamente usato per le analisi in argomento, sono stati acquisiti concreti elementi indiziari nei confronti di 68 indagati ai quali è stato notificato l’avviso di conclusione delle indagini.

 

 

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