Arriverà dopo le 17 la sentenza del processo che vede imputato al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) l’ex sottosegretario del Pdl Nicola Cosentino per concorso esterno in associazione camorristica in quanto ritenuto dalla Dda il “referente nazionale del clan dei Casalesi”. Lo ha annunciato il collegio presieduto da Giampaolo Guglielmo che intorno alle 13.40 si è ritirato in camera di consiglio per deliberare. In aula sono presenti numerosi parenti di Cosentino, tra cui i due figli gemelli, che hanno sempre assistito alle udienze degli ultimi mesi. Prima che il collegio lasciasse l’aula ci sono state le ultime schermaglie tra l’accusa sostenuta dal pm Alessandro Milita e la difesa dell’imputato rappresentata da Stefano Montone e Agostino De Caro. “Per anni – ha detto durante la replica il sostituto procuratore – Cosentino è stato il rappresentante politico sul territorio casertano e non ha mai detto nulla contro il potere dei Casalesi. Questo è sintomo di mafiosità”. “Questa è cultura del sospetto” ha controreplicato duramente De Caro. Milita ha poi fatto riferimento alle dichiarazioni di alcuni pentiti non ascoltati durante il dibattimento ma che comunque sarebbero utilizzabili, come quelle di Giuseppe Misso, ex reggente del clan Schiavone tra il 2002 e il 2006, che ieri ha deposto nell’altro processo “Il Principe” in cui Cosentino è imputato per riciclaggio. “Misso ha parlato di un weekend che Cosentino passò in barca a Ventotene con Walter Schiavone (fratello del capoclan Francesco Sandokan Schiavone) e Dante Passarelli (imprenditore colluso morto anni fa) e che in quella circostanza aveva un cellulare Startac con i tasti rossi”. Montone ribatte che “lo Startac uscì il 3 febbraio 1996, Walter Schiavone fu arrestato il 7 febbraio 1996, ciò vuol dire che la gita avvenne a febbraio. Misso non è attendibile”. Il legale ha invece contestato la circostanza che l’imputazione, secondo l’impostazione del pm, riguardi un periodo di oltre 20 anni, fin quasi ai giorni nostri. “Il pm parla di imputazione aperta – dice Montone – ma ciò è inaccettabile. Lo sfido a venire in qualsiasi aula di università per far spiegare e far capire agli studenti cosa vuol dire ‘imputazione aperta’; è una cosa che non esiste”.