Accumulava fondi neri, trattenendo soldi dagli stipendi dei suoi dipendenti, per pagare il ‘pizzo’ a Cosa nostra. Cosi’ un imprenditore di Vallelunga Pratameno (Caltanissetta), Giuseppe Pirrone, che dopo essere stato vittima della mafia si e’ trasformato in aguzzino decurtando somme dalla paga dei lavoratori, che venivano minacciati di licenziamenti se rifiutavano di subire.
E’ lo scenario ricostruito dal Gico della Guardia di finanza di Caltanissetta, in collaborazione con lo Scico di Roma. Pirrone e’ stato arrestato assieme ad altre cinque persone. In manette sono finiti Giuseppe Giovanni Laurino, 54 anni di Riesi, Luigi Pulci, 44 anni di Sommatino, Giovanni Privitera, 57 anni di Vallelunga, Angelo Schillaci, 49 anni di Campofranco, Francesco La Quatra, 76 anni di Sommatino e Giuseppe Pirrone, 56 anni di Vallelunga. A La Quatra e Pirrone sono stati concessi i domiciliari. Pirrone si era aggiudicato l’appalto per la costruzione di 34 alloggi popolari a Sommatino. Essendo originario di Vallelunga, la famiglia mafiosa che fa capo a Angelo Schillaci gli aveva chiesto “la messa a posto”. Un altro clan, quello di Riesi, tramite Laurino, gli aveva invece imposto la fornitura di calcestruzzo, affidata a Luigi Pulci, fratello di Calogero, ex collaboratore di giustizia. Per pagare le estorsioni Pirrone aveva deciso di trattenere soldi dagli stipendi dei suoi dipendenti, alcuni dei quali stanchi di subire avevano poi lasciato l’azienda. Pirrone, sfogandosi con un suo collega, lo prega di non assumere nessuno dei suoi ex dipendenti. “Attorno a loro – dice – dobbiamo fargli terra bruciata”. E cosi’ appunto, “Terra bruciata”, e’ stata denominata l’operazione della Guardia di finanza. La doppia imposizione del ‘pizzo’ a Pirrone, secondo quanto riferito anche da due pentiti, Pietro Riggio e Aldo Riggi, ex affiliati alla famiglia di Campofranco, ha rischiato di rompere gli equilibri all’interno di Cosa nostra nel nisseno: da una lato la mafia di Riesi, dall’altra la famiglia di Campofranco vicina a Provenzano.