“Un accordo di natura protettiva e collaborativa raggiunto da Berlusconi con la mafia”, nel quale Marcello Dell’Utri ha svolto una “attivita’ di mediazione”. Parola della Cassazione, che il 9 marzo scorso annullo’, rinviando il caso alla Corte d’appello di Palermo, la condanna a 7 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa inflitta dai giudici siciliani al senatore del Pdl. Per la Suprema Corte, il riscontro di tali fatti si trova non solo nelle dichiarazioni di pentiti, ma anche e soprattutto nell’assunzione ad Arcore di Vittorio Mangano.

Certo, osservano i giudici di piazza Cavour, l’ex premier ha versato in passato “cospicue somme in favore del sodalizio mafioso”, pagamenti che “avevano natura necessitata perche’ ingiustamente provocati, all’origine, da spregevoli azioni intimidatorie poste in essere in danno alla sua famiglia”. Dal ‘patto’ in questione, in cui Dell’Utri svolge il ruolo di ‘trait d’union’, trae vantaggio Berlusconi che riceve, si legge nella sentenza, “una schermatura rispetto a iniziative criminali (essenzialmente sequestri di persona) che si paventavano a opera di entita’ delinquenziali non necessariamente e immediatamente rapportabili a cosa nostra o quanto meno all’articolazione palermitana di Cosa nostra di cui veniva, in quel frangente, sollecitato l’intervento”, mentre alla “conosrteria mafiosa” va un vantaggio di “natura patrimoniale”. Nessun dubbio, dunque, sulla configurabilita’ del reato di concorso esterno: l’annullamento della sentenza d’appello e’ dovuto esclusivamente al fatto che Dell’Utri, tra la fine del 1977 e il 1982 non lavoro’ per le aziende di Berlusconi, ma passo’ alle dipendenze dell’imprenditore Filippo Rapisarda. Il compito dei giudici palermitani che ora dovranno riesaminare la vicenda, quindi, sara’ soltanto quello di verificare le condotte del senatore del Pdl in quegli anni passati lontano dall’area imprenditoriale berlusconiana. E cio’ incidera’ significativamente sulla questione della prescrizione: se alla “manifestazione della cessazione del reato permanente” facesse seguito “una forma di ripresa dello stesso reato, all’atto del ritorno dell’imputato nell’area imprenditoriale facente capo a Berlusconi”, i termini della prescrizione si allungherebbero. “I giudici della Cassazione su diversi aspetti sono piu’ pesanti di quelli della Corte d’appello. Chi aveva esultato dopo la sentenza Dell’Utri aveva cantato vittoria troppo presto”. Cosi’ il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, che fu pm nel processo di primo grado a Dell’Utri, appare soddisfatto: le motivazioni della Cassazione “danno ragione – dichiara – a quella che fu la mia interpretazione, data nell’immediato. Noi usammo espressioni piu’ colorite, come ‘ambasciatore di Cosa nostra’, i supremi giudici scrivono che Dell’Utri fu ‘mediatore’. La sostanza non cambia”. Il vicepresidente della Commissione antimafia e deputato di Futuro e Liberta’, Fabio Granata, osserva che “le motivazioni della Suprema Corte di Cassazione descrivono minuziosamente i rapporti tra Dell’Utri, Berlusconi e Cosa Nostra, delineano un quadro di una gravita’ inaudita e fanno capire ancora meglio perche’ Mangano era considerato un eroe per non aver parlato”. Berlusconi, aggiunge Granata, “dovrebbe definitivamente ritirarsi da qualsiasi attivita’ pubblica, per rispetto, tardivo, della memoria di chi e’ stato assassinato per aver contrastato Cosa Nostra”. Per il presidente del gruppo Idv alla Camera, Massimo Donadi, “la Cassazione consegna alla storia il giudizio definitivo su Berlusconi. Dopo tutto questo speriamo che anche nel centrodestra ci sia un sussulto di dignita’ e che si metta fine alla carriera politica di Berlusconi”.

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