Più controlli alle frontiere e, soprattutto, negli scali aeroportuali e nei voli in partenza dai Paesi dell’Africa occidentale colpiti dall’epidemia di Ebola. E’ questo il ‘passaggio cruciale’ per bloccare la diffusione del virus ed impedire che possa ‘uscire’ dall’area epidemica. Sul fatto che sia questa la strategia su cui puntare – mentre cresce la paura in Europa dopo che è salito a sei il numero delle persone sotto osservazione in Spagna per aver avuto contatti con l’infermiera ammalatasi – non ha dubbi il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, che ha chiarito la portata dell’emergenza durante un’informativa in Aula al Senato. ”Dal dicembre 2013, quando l’epidemia è iniziata, – ha sottolineato il ministro – alla data di ieri 8 ottobre, sono riportati dall’Oms 8.011 casi probabili, confermato e sospetti, e 3.877 decessi, con un tasso di letalità del 46% nei paesi dell’africa occidentali”. Una vicenda la cui evoluzione deve necessariamente portare a maggiori controlli alle frontiere, in particolar modo negli aeroporti. Peraltro le autorità europee pensano a qualche ”forma di test’ da effettuarsi negli aeroporti, ma al momento la Gran Bretagna ha deciso di non ordinare alcun controllo sui passeggeri. ”Vogliamo adottare misure per rafforzare le procedure per individuare eventuali soggetti a rischio di Ebola già prima dell’imbarco aereo dall’Africa”, ovvero in loco, ha detto Lorenzin. Ed anche il controllo sugli operatori sanitari va rafforzato sempre in loco: ciò significa, ha chiarito, che vanno ”pensate ‘zone di compensazione’ in Africa, per i sanitari impiegati, prima del rientro in Europa. Il rischio di contagio è più elevato proprio per il personale sanitario che opera in queste aree. Le ong già applicano misure finalizzate a non far ripartire gli operatori prima che siano trascorsi i 21 giorni”, ovvero il tempo per la fase di incubazione del virus, ma ”andrebbero pensate apposite ‘zone di compensazione”’. l’Italia ad ogni modo, ha aggiunto, ”è tra i pochi a poter garantire l’evacuazione degli operatori”. Tutto ciò, appunto, per bloccare il virus ‘a monte’. Ma se casi sospetti dovessero presentarsi, le misure messe in campo in Italia, assicura Lorenzin, sono efficaci, a partire dal ruolo ”fondamentale” degli Uffici di sanità marittima, aerea e di frontiera (Usmaf): ”Abbiamo 12 Usmaf e 25 uffici territoriali; sono nei porti e negli aeroporti e sono il ‘filtro’ contro le malattie. Vi lavorano 448 persone, di cui 79 medici; nell’aeroporto di Fiumicino ci sono 6 medici Usmaf e 7 sono a Malpensa”. Va comunque ricordato che l’Italia ”ha voli diretti solo con la Nigeria, con cadenza trimestrale, e gli Usmaf sono pronti ad intervenire”. Gli altri paesi africani colpiti sono collegati all’Italia solo con voli indiretti. Da qui anche la necessità, già evidenziata dal ministro, di arrivare ad una sorta di ”tracciabilità” dei passeggeri. Altro aspetto è quello dell’informazione dei viaggiatori: per il semestre di presidenza Ue, ha annunciato, ”ho assunto l’iniziativa di una campagna informativa con modalità analoghe in tutti i paesi”. Lorenzin ha poi ribadito che il rischio che persone malate arrivino tra i migranti che giungono in Italia è ”molto basso”.