Sei anni e mezzo di carcere per Fabio Riva, cinque per Alfredo Lomonaco, ex presidente della finanziaria elvetica Eufintrade, tre anni di reclusione per Agostino Alberti, allora consigliere delegato della svizzera Ilva Sa e e 1,5 milioni di euro di multa a Riva Fire spa. Si è concluso così, con condanne severe, una serie di pene accessorie e la confisca di beni mobili e immobili a tutti gli imputati fino a raggiungere la somma di 90,8 milioni di euro e una provvisionale di 15 milioni da versare al ministero dello sviluppo economico, il processo in corso a Milano su una presunta truffa ai danni dello Stato da circa cento milioni. La terza sezione penale del Tribunale, presieduta da Flores Tanga, che ha in sostanza accolto le richieste dei pm Stefano Civardi e Mauro Clerici, ha anche disposto l’interdizione dai pubblici uffici perpetua per Riva e Lomonaco e di cinque anni per Alberti, l’interdizione dagli uffici legali per la durata della pena per tutti e tre, e l’esclusione di Riva Fire dalle agevolazioni e dai sussidi di Stato per un anno. Revocati, inoltre, a Ilva i contributi relativi all’export già deliberati da Simest, la società italiana per le imprese che investono all’estero e che è al 75 per cento della cassa Depositi e Prestiti, e ‘ordinata’ la restituzione da parte di Ilva di quelli già erogati. Una sentenza, quella di oggi, per le difese “pesante” e che di certo verrà impugnata. Per Fabio Riva, il figlio dell’ex patron del gruppo siderurgico morto lo scorso aprile (era anche lui imputato) e che si trova ancora a Londra – nei suoi confronti è stato firmato un mandato di estradizione – sono stati inflitti 14 mesi in più rispetto alla richiesta della Procura. La vicenda al centro di uno dei filoni di indagine aperti dagli inquirenti milanesi sul gruppo ipotizza la creazione di una società ad hoc in Svizzera, l’Ilva Sa, che avrebbe avuto lo scopo di aggirare la normativa (la ‘legge Ossola’) sulla erogazione di contributi pubblici per le aziende che esportano all’estero. In sostanza, la norma prevede che le società, che hanno commesse estere ma ricevono i pagamenti in modo dilazionato nel tempo (dai 2 ai 5 anni), possano ricevere stanziamenti da Simest. L’Ilva, però, secondo l’accusa, non avrebbe potuto incassare questi fondi in quanto veniva pagata per le sue commesse con dilazioni che non oltrepassavano i 90 giorni. E così, in base agli accertamenti, sarebbe stata costituita la società elvetica, con sede a Manno, nel Canton Ticino, che prendeva le commesse all’estero e poi si interfacciava con l’Ilva spa. A quel punto, i pagamenti dalla societò svizzera all’Ilva sarebbero stati dilazionati nel tempo in modo da poter usufruire della normativa sulle erogazioni pubbliche. La frode, secondo la ricostruzione dei pm Civardi e Clerici che hanno contestato i reati di associazione per delinquere e truffa ai danni dello Stato, e’ stata commessa tra il 2007 e il 2013 e sarebbe di circa 100 milioni di euro.