“Un vero eroe americano”. Così é stato definito Neil Armstrong, timido e tranquillo ingegnere dell’Ohio destinato però a diventare un eroe globale: il primo uomo a posare piede sulla luna, nell’ormai lontano 20 luglio 1969. Oggi Armstrong ha lasciato questa Terra, quella che commosso riuscì a contemplare dalla superficie lunare.

Si è spento ad 82 anni per complicazioni cardiovascolari, in seguito ad una delicatissima operazione al cuore subita all’inizio di agosto. “Neil è stato uno dei più grandi eroi di tutti i tempi e ci ha insegnato l’enorme potere di un piccolo passo”, sono state le parole del presidente statunitense, Barack Obama, che insieme alla First Lady Michelle si è detto “profondamente colpito”. La costernazione per la scomparsa del primo ‘moonwalker’ della storia coinvolge ogni angolo del mondo.

Insieme a Edwin ‘Buzz’ Aldrin e Michael Collins quel giorno di 43 anni fa emozionò un’intera generazione. E le sue prime parole, appena toccato il suolo lunare, sono rimaste impresse nella memoria e nei libri di storia: “That’s one small step for [a] man, one giant leap for mankind”, un piccolo passo per un uomo, un balzo da gigante per l’umanità. Si coronava il sogno del presidente americano John Fitzgerald Kennedy a cui, in piena guerra fredda, l’Unione Sovietica aveva lanciato il guanto di sfida anche sul fronte della corsa allo spazio, lanciando in orbita nel 1957 il satellite Sputnik. Ora l’America aveva vinto.

Il simbolo di questa vittoria era proprio Armstrong che, in quelle ore passate sulla Luna, insieme ad Aldrin raccolse reperti, scattò fotografie, fece esperimenti, gettando le basi per la futura esplorazione dello spazio. Dopo di loro altri dieci astronauti americani lasciarono le loro impronte sulla luna tra il 1969 e il 1972. Armstrong mostrò anche un enorme coraggio, lui che alcuni amici di infanzia ricordano come un giovane un po’ ‘nerdy’, imbranato: quando il computer del modulo lunare Eagle in fase di atterraggio fece le bizze, prese i comandi manuali e si rese protagonista di un atterraggio mozzafiato: “Houston, qui Base della Tranquillità. L’Aquila è atterrata”, disse alla fine della spericolata ma decisiva manovra, facendo tirare a tutti un sospiro di sollievo. Anche ai milioni di telespettatori che in tutto il mondo seguirono – in bianco e nero – l’evento. Forse il primo grande evento mediatico globale della storia della televisione.

Armstrong, nato in Ohio da genitori di origine tedesca, è rimasto schivo e poco avvezzo alle luci della ribalta anche dopo essere andato in pensione. Ha continuato a insegnare all’università e le sue apparizioni negli anni sono state sporadiche. Solo nel 2010 fece parlare di sé per essere per la prima volta intervenuto nel dibattito politico, criticando la politica spaziale dell’amministrazione Obama che, in tempi di crisi economica, aveva secondo lui indebolito il ruolo della Nasa promuovendo la corsa allo spazio da parte delle compagnie private. I problemi al cuore lo avevano costretto ai primi di agosto ad un delicato intervento per installare un bypass. Sembrava tutto fosse andato per il verso giusto, come la stessa moglie Carol aveva confermato.

“Lo spirito pioneristico di Neil gli è stato utile in questo momento difficile”, erano state le parole del numero uno della Nasa, Charles Bolden. Ma stavolta Neil non ce l’ha fatta. E ora l’America, ma non solo, piange il suo eroe.

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