La Bce torna al centro dell’attenzione mondiale e la settimana che si apre sarà decisiva per il ‘piano anti-spread’ del presidente Mario Draghi, chiamato a convincere i mercati della solidità dell’euro e gestire il braccio di ferro con la Bundesbank tedesca.
Nel consiglio Bce sembra essersi formata una solida maggioranza a favore degli acquisti dei titoli di Stato. E Draghi ha il sostegno non solo dei politici europei (é un momento “decisivo” per l’Europa, dice oggi il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso). Ma anche della Casa Bianca, del Fmi e della Federal Reserve: il presidente Ben Bernanke ha evocato ulteriori misure non convenzionali delineando un possibile ‘fronte Atlantico’ contro la crisi. E ieri si è spinto fino a “esortare i colleghi europei a proseguire con iniziative per risolvere la crisi”. Anche l’Ocse, per bocca del capo economista Pier Carlo Padoan, esorta l’Europa a sfruttare l’attuale “finestra di opportunità” per far fronte alla crisi. Tuttavia per il piano ideato da Draghi, che per seguire la fase delicatissima vissuta dall’Europa ha saltato il simposio mondiale di Jackson Hole, il diavolo si nasconde nei dettagli. I mercati sono pronti a dare guerra e passeranno al setaccio, dopo il consiglio Bce di giovedì, la solidità delle linee d’intervento e la compattezza, o le divisioni, dei banchieri dell’euro. Draghi è atteso già lunedì in un’audizione a porte chiuse al Parlamento europeo. Impegnato da settimane a costruire il consenso in vista della riunione del consiglio Bce del 6 settembre, secondo le ultime indiscrezioni (non smentite dalla Bce) darà 24 ore ai consiglieri per valutare una lista di opzioni d’intervento prima della cena di mercoledì sera che precede il vero e proprio consiglio direttivo di giovedì: sul tema non sembra ancora esserci un consenso del tutto definito. Lo schema ruota attorno all’acquisto dei titoli di Stato, in particolare di Spagna e Italia (anche se si parla di un ventaglio più ampio di asset, ad esempio anche obbligazioni societarie). Un’ipotesi sarebbe quella di fissare un tetto ai rendimenti e agli spread. Ma per non legarsi troppo le mani, è probabile che Draghi non riveli subito tutti i particolari, né dia indicazioni puntuali sulla ‘potenza di fuoco’ che la Bce si prepara a spendere. Le operazioni, poi, non partiranno subito: la Bce intende attendere il verdetto della Corte costituzionale tedesca sul fondo di salvataggio europeo Esm, atteso il 12 settembre, visto che gli interventi sui mercati partiranno solo in parallelo (e forse dopo) quelli dei fondi europei di salvataggio e su richiesta formale d’aiuto. Di certo, quello del 5 e 6 settembre si presenta come un consiglio ad alta tensione. Il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, avrebbe valutato di dimettersi in opposizione agli acquisti dei bond: sarebbe il terzo esponente tedesco in poco più di un anno. Secondo il quotidiano ‘Bild’ sia il ministro delle Finanze, Wolfgang Schaeuble, che la cancelliera Angela Merkel avrebbero avuto una settimana di colloqui “serrati” per convincerlo a restare al suo posto. La ‘Buba’, così come gli olandesi (che chiedono aiuti fortemente condizionati alle riforme) e altri Paesi nordici, temono che la Bce finisca per incoraggiare quelle stesse politiche di bilancio dissolute che hanno portato alla crisi: probabilmente cederanno, per non spaccare la Bce, ma chiederanno paletti ben precisi. Il Frankfurter Allgemeine Zeitung chiede a Weidmann di restare al suo posto, mantenere “la schiena dritta” e contare sui tedeschi, che “reagirebbero in maniera allergica se l’euro dovesse diventare come la lira”. E’ in risposta alle loro obiezioni che Draghi ha assicurato, la scorsa settimana, l’indipendenza politica della Bce e il rispetto del mandato. Il banchiere italiano ha, fra le frecce al suo arco, l’accelerazione data dall’Europa all’integrazione di bilancio (fiscal compact) e alla possibile svolta sulla sorveglianza pan-europea delle banche.