La preoccupazione per le sorti di Domenico Quirico, l’inviato della Stampa di cui si sono perse le tracce in Siria ormai da un mese, diventa paura. “Il fatto che non ci sia stata nessuna reazione alla notizia” della sua scomparsa – annunciata il 29 aprile dal direttore della Stampa Mario Calabresi in accordo con la Farnesina dopo alcune settimane di riservatezza – “purtroppo non mi sembra un elemento molto positivo, non è certo un segnale confortante”, dice da Londra il ministro degli Esteri Emma Bonino. La titolare della Farnesina misura le parole, attenta a non chiudere tutti gli spiragli. Ma il messaggio arriva comunque chiaro.

Notizie definitive, al momento, non ce ne sono. E gli uomini dell’Unità di Crisi stanno seguendo il caso quotidianamente “con grandissima attenzione”, riferendo direttamente al ministro ogni dettaglio. Ma proprio il silenzio e la mancanza di qualsiasi “segnale” o rivendicazione di un eventuale sequestro viene letta in maniera negativa. Quirico era entrato in Siria lo scorso 6 aprile dalla frontiera con il Libano per realizzare una serie di reportage dalla zona di Homs, una delle aree più pericolose di tutto il Paese, dove territori saldamente in mano al regime si alternano a vere e proprie roccaforti dei ribelli. E dove gli scontri feroci, i proiettili vaganti e le bombe che piovono dal cielo sono la disperata quotidianità della gente che ci abita. L’ultimo contatto con l’Italia di Domenico risale al 9 aprile, nel quale informa un collega di essere sulla strada per Homs e che per qualche giorno sarebbe finito in zone senza copertura telefonica. Poi più niente. Passano 10 giorni e il suo giornale, d’accordo con la famiglia, decide di avvertire l’Unità di Crisi della Farnesina, che attiva immediatamente tutti i canali. In un primo momento il silenzio è d’obbligo, “per evitare di accendere un riflettore in una zona in cui sarebbe potuto diventare facilmente preda di rapimenti o di uomini del regime”, aveva spiegato Calabresi. Ma i giorni di silenzio diventano troppi. E si decide di rendere pubblica la notizia della scomparsa, nella speranza che la visibilità e il clamore possano aiutare Quirico, se davvero fosse finito in mani sbagliate. E’ a questo punto che si ricollega però il ragionamento della Bonino: nessun canale, tra tutti quelli attivati, si è rivelato quello giusto, nessuna rivendicazione è arrivata, nessun segnale ha riacceso la speranza. Solo silenzio, che a questo punto, in un Paese dove i cronisti muoiono per raccontare le sofferenze della guerra (36 in due anni), può far anche temere il peggio. Il caos ormai totale che domina in Siria – percorsa da guerriglieri jihadisti, gruppi ribelli, bande di criminali e miliziani del regime – è confermato oggi anche dalla notizia di quattro caschi blu della forza Onu schierata tra la Siria e Israele ‘trattenuti’ dai ribelli sulle alture del Golan. Il gruppo Brigata dei Martiri di Yarmuk ha diffuso la foto dei quattro militari Onu, affermando di averli presi in custodia per assicurarne la “protezione” durante uno scontro armato con le forze lealiste. Le Nazioni Unite, che confermano la vicenda, stanno lavorando al rilascio. Nel suo esordio internazionale a capo della diplomazia italiana per la Conferenza sulla Somalia di Londra, Bonino oggi ha definito la situazione siriana “drammaticamente insopportabile”. Ma dalla quale non si può uscire con le armi: “Non ritengo esistano soluzioni militari possibili, almeno – ha aggiunto – nell’immediato”: “Bisogna evitare di fare ulteriori danni”. La via d’uscita, è stato il suo ragionamento, può essere solo “politica”. L’Italia lavora per questo, necessariamente assieme all’Europa, che deve essere capace di parlare con una voce sola e non ripetere “gli stessi errori” commessi vent’anni fa con la guerra nei Balcani. Se ne discuterà anche domani a Roma, dove è atteso il segretario di Stato Usa John Kerry per una prima presa di contatto diretto con il nuovo governo targato Letta.

 

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