I pozzi di petrolio dell’estrema regione orientale siriana e il medio corso dell’Eufrate che attraversa Dayr az Zor, capoluogo della provincia al confine con l’Iraq, sono testimoni da ieri mattina dell’offensiva dell’esercito governativo di Damasco

contro quelli che il regime definisce ”terroristi” e che secondo attivisti e testimoni oculari sono invece ”manifestanti pacifici” e civili inermi. Il mondo arabo intanto rompe fragorosamente il silenzio sulla situazione siriana, con pesanti interventi della Lega araba, che chiede la fine ”immediata’ dello spargimento di sangue, e del potente sovrano dell’Arabia Saudita, che richiama il suo ambasciatore a Damasco e dice basta allo spargimento di sangue. Secondo testimoni oculari e fonti del dissenso siriano i militari hanno ucciso ieri oltre 57 persone: 38 (o forse 42) a Dayr az Zor, una decina (forse 16) a Hula nel centro del Paese e almeno tre nella provincia nord-occidentale di Idlib, al confine con la Turchia. Un intervento quello delle forze armate che il presidente Bashar al Assad ha difeso con forza affermando che ”e’ un dovere agire contro i fuorilegge che bloccano le strade, isolano le citta’ e terrorizzano la popolazione”. Gli attivisti riferiscono che poco prima dell’alba di ieri e dell’inizio del digiuno giornaliero del mese di Ramadan, decine di carri armati sono entrati a Dayr az Zor prendendo il controllo di numerosi quartieri della citta’, dominata da clan tribali arabi sunniti, per decenni armati dal regine in funzione anti-autonomisti curdi ma da qualche anno sempre piu’ in rotta con le autorita’ centrali. Nei giorni scorsi, alcuni leader tribali della citta’ erano apparsi su video amatoriali diffusi sui social network smentendo la notizia, diffusa dalla tv di Stato, secondo cui la popolazione aveva invocato l’intervento dell’esercito per combattere i ”terroristi”. In quello stesso video, i dignitari di Dayr az Zor avevano giurato di ”resistere con ogni mezzo” a un’eventuale occupazione militare della citta’. I media ufficiali hanno ieri a loro volta smentito l’ingresso dei blindati a Dayr, mostrando immagini di ”grandi quantita’ di armi confiscate alla frontiera col Libano”, dall’altra parte del Paese. L’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus) ha aggiornato il proprio bilancio di morte dall’inizio della repressione militar-poliziesca degli Assad a meta’ marzo scorso: 2.059 persone uccise, di cui 391 tra soldati e poliziotti. Di mercoledi’ scorso la notizia, diffusa solo oggi dallo stesso Ondus ma non verificabile sul posto, della morte di otto neonati, nati prematuri ma deceduti dentro incubatrici non piu’ funzionanti di un ospedale di Hama, a causa del perdurante blackout elettrico deciso dalle autorita’ durante l’assedio della settimana scorsa. Della tragedia siriana e’ tornato a parlare oggi Papa Benedetto XVI, che ha rivolto un appello a governo e popolazione perche’ ”si ristabilisca la pacifica convivenza e si risponda adeguatamente alle legittime aspirazioni dei cittadini”. Nel pomeriggio e’ intervenuta la Lega Araba che per la prima volta ha chiesto al regime di ”porre fine immediatamente agli atti di violenza e alle campagne di sicurezza contro i civili”. Ma a sorpresa l’intervento piu’ pesante e’ giunto nella notte: il re dell’Arabia Saudita, Abdullah bin Abdul Aziz, in un aspro comunicato ha annunciato il richiamo ”per consultazioni” del suo ambasciatore a Damasco, definendo ”inaccettabile” e ”ingiustificabile” per Riad quanto accade. Il sovrano ha ingiunto al regime di fermare le violenze ”prima che sia troppo tardi” e di attuare ”riforme che non siano solo promesse”. Il regime, secondo Abdullah, e’ a un bivio: o scegliera’ ”la saggezza”, o ”sara’ trascinato nel caos e nella violenza”.

 

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