“La sollevazione dei musulmani e altri attacchi ‘domestici'” saranno “inevitabili” se l’Occidente continuerà con i suoi “crimini contro l’Islam”. E’ la minaccia dei jihadisti dell’Isis citata dal Site, che sottolinea come il sequestratore di Sydney un mese fa avesse dichiarato la sua ‘sottomissione’ al ‘califfo’ al Baghdadi, seppure in forma “inusuale”.
“Coloro i quali chiedono alleanza al califfo dei musulmani chiedono alleanza ad Allah e al suo messaggero”, ha scritto Man Haron Monis, il sequestratore ucciso ieri a Sydney, citato dal Site giusto une mese fa, a novembre. E ancora: “Allah mi ha onorato di poter chiedere alleanza all’imam dei nostri tempi”. Secondo Rita Katz, la cacciatrice dei jihadisti online e fondatrice del Site, si tratta del resto di affermazioni “inusuali”, perché Monis “non fa mai il nome di Baghdadi”, e i ‘proclami’ del sedicente predicatore ‘non necessariamente prefigurano che egli sia parte di un piano dell’Isis”. Un iraniano di confessione sunnita ha seminato il terrore nel cuore di Sydney. Di buon mattino è entrato armato nel Lindt Chocolat Cafe, a Martin Place: all’interno 17 persone tra impiegati e clienti. Tutti presi in ostaggio, costretti poco dopo con il volto contro la vetrata principale del locale con una bandiera nera in bella vista. Non era quella dell’Isis, ma la Shahada, la professione di fede dei musulmani. La scritta recita “Non c’è altro Dio al di fuori di Allah e Maometto è il suo profeta”. I media identificano l’uomo: è un cinquantenne, Man Haron Monis, arrivato in Australia nel 1996 dall’Iran con lo status di rifugiato politico. Poi una lunga sequela di affari controversi: lettere offensive e minacciose inviate alle famiglie dei soldati australiani morti in Afghanistan, proclami pubblici contro “il terrorismo degli americani e dei loro alleati”, Canberra in testa, ma anche contro i “musulmani che hanno deviato dal Corano”, ovvero gli sciiti, una confessione ripudiata per abbracciare il sunnismo. Soffriva di problemi di “instabilità mentale”, riferirà più tardi il premier australiano Tony Abbott, sottolineandone peraltro in serata il passato pieno di violenza, “impregnato di estremismo” e il tentativo di “coprire i suoi atti con i simboli” del jihadismo internazionale. “Opera da solo”, aveva assicurato d’altronde il suo avvocato durante l’azione, mentre Monis chiedeva gli fosse consegnata una bandiera dell’Isis “ufficiale”. Il legale lo ha difeso nel processo per la morte della sua ex moglie, pugnalata e poi data alle fiamme lo scorso anno. Il procedimento si concluse con la liberazione su cauzione per lui e l’attuale compagna, accusata del barbaro omicidio. Poi altre accuse, solo pochi mesi fa: sei donne lo denunciano per molestie sessuali aggravate, circa 50 gli episodi contestati, risalenti a 10 anni fa, quando Monis si spacciava come “curatore spirituale” ed esperto nelle arti magiche. Ma il film del suo assalto non assomiglia a un incantesimo. Una decina di ostaggi riescono a fuggire in diverse occasioni. E’ il segno, spiegano gli inquirenti, che Monis non è un “terrorista esperto” e che non ha pianificato al meglio il suo spettacolare gesto. La scelta della caffetteria indica tuttavia, affermano le stesse fonti, che il ‘predicatore’ voleva ottenere il massimo impatto mediatico possibile: il locale sorge a due passi dalla banca centrale, dall’ufficio del premier del Nuovo Galles, lo Stato di Sydney, e dal quartiere finanziario. E ci riesce: le immagini degli ostaggi messi in vetrina con la bandiera nera, tra cioccolatini e auguri di buon Natale, fanno il giro del mondo in pochi minuti. Passano le ore e cresce la preoccupazione per la sorte dei prigionieri, nel timore che l’uomo abbia a disposizione anche dell’esplosivo. Ma non c’è solo questo: un residente di Sydney pubblica su Twitter l’hashtag #illridewithyou, nel timore che l’assalto possa scatenare un’ondata di intolleranza religiosa. Diventa trend mondiale, in tanti accompagnano le donne musulmane che alle fermate dei bus e della metro tolgono il velo per paura di essere aggredite. Scende la notte e oramai la polizia di Sydney sembra rassegnarsi a un lungo assedio, “anche di un paio di giorni”. E’ un diversivo: poco dopo le due del mattino un’altra manciata di ostaggi si dà alla fuga. Le forze speciali intervengono, lanciano granate stordenti nel locale, mentre Monis apre il fuoco, ferendo al volto un agente e probabilmente uccidendo gli ostaggi. Le forze di sicurezza fanno irruzione, gli spari risuonano ovunque. Poi il silenzio, rotto dalle sirene delle ambulanze che corrono verso gli ospedali. Monis viene ucciso, due ostaggi, un uomo di 34 anni e una donna di 38, perdono la vita. L’Iran e le autorità religiose islamiche condannano l’atto di terrorismo: “Non ha nulla a che fare con l’Islam, qualunque siano i motivi”, tuona il Gran Mufti d’Egitto, una delle figure più importanti per il mondo sunnita. Intanto inizia la ridda di ipotesi sulle cause che hanno spinto Monis al folle gesto: potrebbe essere solo l’ultimo dei terroristi della porta accanto pronti a colpire e a fare strage di innocenti nel nome del ‘califfo’, Abu Bakr al Baghdadi; ma con il passare delle ore si delinea soprattutto il profilo di uno squilibrato. Il premier Abbott sembra certificarlo: e tutto sommato è l’ipotesi meno allarmante.