L’ultima in ordine di tempo e’ ‘O Capoclan’ di Nello Liberti, nome d’arte di Aniello Imperato: sono le canzoni neomelodiche che narrano storie di camorra o esaltano figure come quella, nel caso di Liberti, del capoclan che “non sbaglia” e che “se ha commesso errori lo ha fatto per necessita’”. Un testo che ha attirato l’attenzione dei pm napoletani, che hanno chiesto l’arresto di Liberti e di alcune comparse del video musicale che accompagna la canzone del 2004, per istigazione a delinquere. Una richiesta non accolta dal gip, ma che ha comunque riacceso i riflettori sul rapporto tra camorra e musica.
Un rapporto che “significa innanzitutto business”, spiega Amato Lamberti, ex presidente della Provincia di Napoli, docente della cattedra di Sociologia della devianza e della criminalita’ presso la Facolta’ di Sociologia dell’Universita’ Federico II di Napoli e autore di saggi e ricerche sulla criminalita’ organizzata, in particolare quella attiva nel Napoletano. Piu’ che la valorizzazione di certi aspetti della malavita sul piano simbolico, spiega Lamberti, per la camorra la musica “significa affari per centinaia di milioni di euro”.
Vere e proprie ‘canzoni di malavita’ che riscuotono grande successo anche su Youtube, dove i video raggiungono le decine di migliaia di visualizzazioni e dove non e’ raro trovare commenti come “Prufsso’, non ti scorderemo mai!” o “Un camorrista ragiona sempre con la mente e mai col cuore” a video che riproducono canzoni inneggianti ai boss della camorra e a Raffaele Cutolo in particolare, introdotti in alcuni casi da scene de ‘Il Camorrista’ di Giuseppe Tornatore, film d’esordio del regista siciliano e ispirato proprio alla vita del boss della Nuova camorra organizzata. Cosi’ come non mancano messaggi offensivi nei confronti di Roberto Saviano, lo scrittore che ha fatto della lotta alla camorra il suo motivo di vita. Per leggere questo fenomeno, prosegue Lamberti, “bisogna puntare agli affari e non al piano simbolico, che puo’ essere evidente per chi guarda questo mondo dall’esterno. E’ un’industria fatta di ‘canzoni di malavita’, come sarebbero state definite una volta, aggiornate con generi moderni quali pop e rap”. Canzoni che viaggiano anche e soprattutto grazie alle radio e alle televisioni, alcune delle quali “vanno avanti anche con finanziamenti pubblici”, ricorda l’ex presidente della Provincia di Napoli, e che permettono la trasmissione di messaggi diretti, spesso a persone in carcere, attraverso “i messaggi che vengono letti nelle radio e che accompagnano le canzoni, soprattutto nelle dediche. Messaggi chiaramente in codice diretti a qualcuno che ascolta”, conclude.