NAPOLI – Il Consiglio di Stato respinge l’appello dell’ex governatore della Campania, Antonio Bassolino e dei suoi assessori, contro le delibere adottate nel giugno del 2010 da Stefano Caldoro, attuale presidente della Giunta regionale campana. Con il decreto 78 del 2010,
erano stati annullati alcuni atti della precedente amministrazione, alla base dello sforamento del Patto di stabilità. Provvedimenti, rileva il Consiglio di Stato nella sentenza, adottati “in osservanza di una norma di legge” (articolo 14 Dl 78/2010), con la quale la Regione, difesa tra gli altri dall’avvocato Gaetano Paolino, sta rientrando dallo sforamento del patto. Tre gli atti della Giunta Bassolino annullati con il provvedimento del giugno 2010: il primo (delibera n.1311, del 31 luglio 2009) nel quale era stata autorizzata una spesa in eccesso di 164 milioni per il pagamento di spese il cui mancato assolvimento avrebbe provocato, secondo la vecchia amministrazione, danni patrimoniali all’ente; il secondo (delibera del 22 ottobre n.1602) e il terzo (verbale di seduta del 13 novembre 2009), con le quali si era proceduto all’emissione di mandati di pagamento. Atti che hanno provocato lo sforamento del Patto di stabilità per 1,2 miliardi. L’organo supremo della Giustizia amministrativa conferma la precedente sentenza del Tar Campania al quale Bassolino e gli assessori (Gabriella Cundari, Oberdan Forlenza – attualmente consigliere presso la IV sezione del Consiglio di Stato – Riccardo Marone, Alfonsina De Felice, Mario Santangelo, Corrado Gabriele, Gianfranco Nappi e Antonio Valiante) si erano rivolti chiedendo l’annullamento del decreto 78 del 2010. Il Tar della Campania aveva dichiarato inammissibile il ricorso per difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti. E questo perché il processo amministrativo è un rimedio, è scritto nella sentenza del Tar, “posto a tutela dei soggetti che abbiano subito una lesione dei propri interessi legittimi per effetto dell’emanazione di un atto illegittimo”. In questo caso, si è di fronte, secondo i giudici amministrativi, a un conflitto di carattere politico tra precedente e nuova amministrazione, con i ricorrenti decaduti dalla carica. Il Consiglio di Stato ha confermato anche l’assenza di “un interesse morale all’annullamento”. Gli appellanti, secondo i giudici amministrativi “risultano comunque del tutto sforniti di legittimazione al ricorso”. Il Dl 78 ha stabilito l’annullamento degli atti adottati dalla Giunta regionale o dal Consiglio regionale durante i dieci mesi antecedenti alla data di svolgimento delle elezioni regionali, con i quali è stata assunta le decisione di violare il Patto di stabilità interno; la revoca degli incarichi dirigenziali a personale esterno all’amministrazione regionale, dei contratti di lavoro a tempo determinato, di consulenza, di collaborazione coordinata e continuativa e assimilati. Il provvedimento, per i giudici amministrativi, non esprime un “disvalore” contro gli atti che ha annullato, ma è stata assunta “per evitare responsabilità erariali anche della Giunta attuale”. Il Consiglio di Stato ha rilevato che le contestazioni proposte, sia nel ricorso sia nell’appello, “non evidenziano né un interesse al ricorso né alcuna posizione differenziata degli appellanti rispetto alla generalità dei cittadini”.