“Se un’associazione, come Libera, diventa troppo grande, se acquisisce interessi che sono anche di natura economica, e il denaro spesso contribuisce a inquinare l’iniziale intento positivo, ci si possono inserire persone senza scrupoli che approfittando del suo nome per fare i propri interessi”. Ne è convinto il pm antimafia, Catello Maresca, sostituto procuratore della Repubblica di Napoli che coordinò le indagini e la cattura di un superboss del clan dei Casalesi come Michele Zagaria. In un’intervista che il settimanale Panorama pubblicherà nel numero di domani, Maresca sottolinea: “Libera gestisce i beni attraverso cooperative non sempre affidabili. Io ritengo che questa antimafia sia incompatibile con lo spirito dell’antimafia iniziale”. “Libera è stata ed è un’importante associazione antimafia”, aggiunge all’Ansa il magistrato, convinto da tempo che vada incentivata una diversa distribuzione delle risorse confiscate alle organizzazioni mafiose. “Libera ha svolto e svolge un ruolo fondamentale nella lotta alle mafie, – ricorda il magistrato, proprio il giorno in cui il presidente di Libera, don Luigi Ciotti è ascoltato dalla commissione parlamentare Antimafia – affiancandosi alle istituzioni dello Stato, ha contribuito a creare la consapevolezza e la convinzione che si potevano sconfiggere”. Però, secondo il pm, “bisogna constatare che, purtroppo, con il tempo, a questo spirito iniziale esclusivamente volontaristico si sia affiancata un’altra componente, che potremmo definire pseudo imprenditoriale. Questo ha comportato, in alcune zone del Paese, come la Sicilia, che persone lontane dai valori iniziali, abbiamo potuto approfittare della fama di Libera per cercare di curare i loro interessi. Questo ha fatto sì che si snaturasse, in certi luoghi, il reale valore dell’intervento di Libera per fare posto a soggetti non sempre affidabili. Questa pseudo antimafia è incompatibile con lo spirito iniziale”. Secondo Maresca, l’Agenzia Nazionale per i Beni Confiscati non riesce a espletare il compito che le è stato affidato: “A mio parere bisognerebbe incidere sulla normativa che prevede la destinazione dei beni confiscati, tenendo conto di quelli che possono e che devono avere un valore simbolico nella lotta alla mafia e quelli che invece non lo hanno e che vanno quindi venduti. Scremando questo ‘mare magnum’ di beni, se da 15mila diventano mille, questi possono essere distribuiti in maniera più ampia tra le diverse associazioni e a quel punto avere anche la possibilità di controllarne la gestione e il vero utilizzo sociale. Questo comporterebbe un vantaggio per tutte le ‘serie’ organizzazioni antimafia, come Libera”.