“Aveva elaborato un piano preordinato che prevedeva la provocazione contro un pullman di tifosi inermi” Daniele De Santis, l’ex ultras romanista condannato a 26 anni di carcere per l’omicidio di Ciro Esposito, ferito gravemente da un colpo di pistola il 3 maggio 2014, poco prima della finale di Coppa Italia tra Fiorentina e Napoli, e morto dopo un’agonia durata 53 giorni. Lo scrivono i giudici della terza corte di assise di Roma nelle motivazioni alla sentenza di condanna. Per i giudici, De Santis non era solo al momento dell’aggressione al pullman, ma spalleggiato da almeno altre sei persone, non identificate. “E’ certo – si legge nelle motivazioni – che detti ‘supporters’ romanisti era stati convocati da lui per organizzare un vero e proprio agguato contro l’invisa tifoseria partenopea, agguato cessato immediatamente quando, al termine della sparatoria, i tifosi napoletani accorrevano in numero soverchiante”. La corte sottolinea come i fatti del 3 maggio 2014 costituiscano un “unicum”. “In altri episodi – si legge nel provvedimento – mai si è fatto uso di armi da fuoco, giungendo al massimo all’uso del coltello, ma mai usato per uccidere, bensì sempre e solo con l’intenzione di procurare ferite superficiali, come quelle subite dall’imputato, appunto le ‘puncicate’. Ed è indubitabile che l’intensità del dolo dimostrato da De Santis, fino a lambire le forme della premeditazione, sia massima”. “Egli, secondo la dinamica dei fatti – scrivono ancora i giudici – preordina in concorso con altri soggetti, un vero e proprio agguato e non solo si premunisce di bombe carta, ma anche di una pistola che porta appresso carica e con il colpo in canna, perché lo sviluppo e la progressione dell’agguato progettato è tale per cui egli prevede che possa determinarsi una situazione per cui debba sparare”.