Parla di “vendetta” da parte degli inquirenti, e si ribella alla “gogna mediatica”. Domenico Zarrelli, 73 anni, imputato assolto per la strage di via Caravaggio avvenuta nel 1975 a Napoli, reagisce – intervistato da alcuni giornali – alle nuove ombre contro di lui legate alle tracce di dna che, 39 anni dopo, sono state trovate sui reperti prelevati all’epoca sul luogo del triplice omicidio. Costretto su una sedia a rotelle a causa di una grave malattia alla schiena, Zarrelli affida al fratello Mario, anche lui avvocato, il compito di recarsi lunedì in procura per chiedere informazioni e chiarimenti. Il dna? Zarrelli avanza dubbi, l’ipotesi che i reperti possano essere stati manipolati o comunque archiviati, all’epoca, senza seguire i protocolli necessari per preservare la validità delle tracce biologiche. “E poi né a me né ai miei parenti è stato mai prelevato il dna, sono proprio curioso di sapere come e dove l’hanno preso”. Ribadisce di essere innocente, respinge “il fango” nei suoi confronti, si dice “massacrato”. E non ha dubbi: “Contro di me c’è un’azione vendicativa e falsata”. La sua tesi: “Sono vittima di una vendetta della procura, maturata in conseguenza di quella che resta la verità processuale, confermata da sentenze passate in giudicato. Atti che riuscirono a smascherare le frodi processuali e i falsi che all’epoca vennero posti in atto dolosamente. E dei quali io ho già subito pesantissime conseguenze”.

I nuovi sviluppi, riportati con ampia evidenza dai media? “In un qualunque altro Paese civile e degno di sentirsi tale, tutto questo non sarebbe mai accaduto. La cosa più vergognosa è che io oggi non ho nemmeno la facoltà di difendermi, di poter interloquire con gli inquirenti. Vivo oggi un nuovo linciaggio mediatico che è fuori da ogni logica umana e giuridica. Massacrato da notizie che nemmeno conosco”. Nella strage di via Caravaggio morirono Gemma Cenname, zia di Domenico Zarrelli, suo marito Domenico Santangelo e la figlia nata dal primo matrimonio di quest’ultimo, Angela. Sgozzati con una lama che fu usata anche per finire il cane della famiglia Santangelo.

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