Un martire, una sentinella ‘zelante’, grazie alla quale è ”possibile aprire gli occhi”: è così che il vescovo di Acerra, Antonio Di Donna, ha voluto ricordare nella sua omelia funebre, Michele Liguori, vigile urbano morto ieri a 59 anni, divorato da due tumori diagnosticatigli lo scorso maggio. Il casco bianco era l’unico componente del nucleo ambientale del comando di polizia municipale acerrano, e grazie a lui erano state scoperte decine e decine di discariche a cielo aperto sul territorio. Discariche che, secondo gli ultimi racconti dell’uomo, erano colme di qualsiasi tipo di rifiuto, da quelli speciali a quelli pericolosi, fino anche a quelli tossici.
A dare l’estremo saluto a Liguori – per la cui morte aveva espresso ieri il suo cordoglio il Presidente della Repubblica, Napolitano – nella chiesa gremita di cittadini c’erano autorità civili e militari: dal capo gabinetto della Prefettura, Esposito, al commissario straordinario per i roghi tossici, Donato Cafagna, dal tenente colonnello del comando provinciale dei carabinieri di Castel Cisterna, Luca Corbellotti, al vice questore di Acerra, Pietropaolo Auriemma. E non sono mancati gli ”amici” di sempre, quelli con i quali Liguori andava alla ricerca di discariche, come il comandante della stazione di Marigliano del Corpo forestale dello Stato, Geremia Cavezza, il quale ha ricordato, poco prima della funzione religiosa, ”l’uomo onesto e sincero”. ”Eravamo soli – ha ricordato – avevamo come unico supporto la Procura. Ma questo non ci ha fermati, ed ora grazie al suo esempio mi sento più forte di prima. Ora le cose sono cambiate, ma il suo deve essere un esempio per tutti, perché nonostante la malattia lui ha sempre continuato a lavorare e collaborare”.
Ad attendere il feretro, davanti alla chiesa, un picchetto formato da carabinieri, polizia, vigili urbani, e volontari delle associazioni ambientaliste e della protezione civile. Commosso, il vescovo ha officiato il rito funebre sottolineando che la morte di Michele ”è un simbolo di questa terra martoriata”. ”Era una sentinella – ha detto monsignor Di Donna – che faceva il suo lavoro con scrupolo, perché diceva di non poter far finta di non vedere ciò che accadeva sulla terra di suo padre e di suo figlio. Grazie a lui sono state condotte indagini preziose. Ora ci chiediamo, come ha fatto lui, se il suo sacrificio è stato vano, se si trattava di un moderno don Chisciotte. Lui ha lottato contro la bestia. E se dicessi che il suo sacrificio non è stato inutile, non sarei sincero. La domanda deve restare aperta, e spetta a tutti noi darle una risposta.
A partire dalle istituzioni, perché troppe cose non quadrano. Dai vari gruppi ambientalisti, che devono unirsi per non frammentare inutilmente le forze. Dalla Chiesa che deve educare i giovani ai valori della giustizia. E dai cittadini, che non devono più voltarsi dall’altra parte. Nessuno deve delegare altri”. Commosso, il vescovo ha poi voluto salutare la moglie di Michele, Maria, ed il figlio Emanuele, 32enne ingegnere informatico che spesso accompagnava il padre nella sua ricerca di discariche sul territorio. Il giovane, disoccupato, a settembre si è iscritto alla facoltà di medicina, per ”cercare di trovare risposte e soluzioni alla malattia del padre”, raccontano gli amici.