CASERTA – Questo week end, sabato 6 alle ore 21 e domenica alle ore 19, sul palco sempre mutevole di OfficinaTeatro la Piccola Compagnia della Magnolia di Torino porta in scena, in collaborazione con Théâtre Durance  / Scène Conventionnée (Paca – France),

Titus – Studio sulle Radici. In via degli Antichi Platani a San Leucio, il lavoro della PCM ispirato a Titus Andronicus di William Shakespeare. Per la regia di Giorgia Cerruti, con Davide Giglio, Titus (2011) è la terza tappa di un percorso shakespeariano denominato “Trilogia dell’Individuo” inaugurato con HAMM-LET / Studio sulla Voracità (2009) e proseguito con OTELLO / Studio sulla Corruzione dell’ Angelo (2010). Dopo aver appena sfiorato Amleto e poi lottato con l’arduo Otello, Magnolia prova a spingere lo sguardo verso un nuovo Shakespeare, carico di potenza immaginifica e straziato nel cogliere il senso dei legami di sangue, la lotta permanente dell’ Uomo tra vendetta e perdono, il dilemma della definizione di civiltà versus barbarie in seno ad una Società democratica, ma dove la Natura con le sue leggi primordiali ha la meglio perché viene prima e viene da dentro all’ Uomo.
Studiare le Radici. Studiare le Radici vuol dire studiare il sangue, i rapporti primari di parentela o comunque i rapporti senza mediazioni, di rito e mito. È dire a qualcuno “sangue mio”  perché lui scorre in te; lo dice un genitore al figlio, è un legame complesso e dolente che è al suo vertice tra padre e figlia nel Titus e che può essere accettato o respinto ma mai negato.

 

È la recisione del legame essenziale della parte con il tutto: il legame tra figli e genitori, tra fratelli, un tuo bigliettino d’auguri che la nonna ha conservato scrupolosamente per anni e che  – per sua volontà scritta – dovrà essere posto con lei nella tomba, il legame tra gli arti e la totalità corporea. Si taglia sempre da un intero!

Titus è un tempo di lavoro sincero e turbolento, ancora una volta attorno a Shakespeare: un attore in scena – Davide Giglio, tra i fondatori della PCM – incarna Tito e inscena la propria vita instancabilmente, teme i fantasmi da sé stesso evocati, commemora e onora senza sosta i morti come un’ espiazione o un dovere, pesca nel lago della memoria tessere di un mosaico di facce care e amate. Uno spazio scenico scarno, alcuni oggetti catalizzatori che infiammano il ricordo, un vasi di fiori su cui pregare, morti da lasciar andare e un cerchio che deve chiudersi per riposare, finalmente.

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