Sobria, lunga il tempo che basta per non annoiare la platea, calorosa di applausi ma senza strafare, la cerimonia di apertura della Mostra del cinema di Venezia 2012 metabolizza i tempi che corrono e si potrebbe definire addirittura austera se il termine non stridesse con il lusso degli abiti da sera griffati,

il luccichio dei gioielli prestati per l’occasione agli ospiti. “Sono anni difficili, il cinema ce li racconta: la crisi, la globalizzazione, l’eutanasia, il lavoro, l’emigrazione…”, dice la madrina, l’attrice polacca Kasia Smutniak, chic e misurata, capelli raccolti, abito lungo rosso senza un gioiello. Il suo discorsetto è da registrare come uno dei più brevi della storia delle aperture del festival, misurato, scivola via senza papere e senza emozioni, sorride disinvolta senza paura di leggere tra le carte un testo che parla di “sguardi al femminile, ben 21 donne registe”, a cominciare dall’indiana Mira Nair che con Il fondamentalista riluttante, fuori concorso, ha aperto questa sera Venezia 69. “Una mostra che offre sguardi su piccole comunità in cui leggere storie universali”, prosegue.

Dopo sul palco sale il presidente della Biennale Paolo Baratta, protagonista di una “giornata intensa” visto che si é aperta anche la Biennale architettura, capaci di portare a Venezia i migliori talenti internazionali. Trait d’union tra i due eventi, l’artista serba Marina Abramovich, vincitrice di un Leone d’oro per l’arte e stasera in platea come membro della giuria presieduta dal regista americano Michael Mann. La cerimonia, una quarantina di minuti in tutto, marca una visibile differenza con le precedenti: il direttore di ritorno Alberto Barbera non si è proprio fatto vedere sul palco, Marco Muller al contrario ne era il protagonista assoluto. Ottanta candeline per la Mostra del cinema di Venezia che muta al passo con i tempi e non dimentica le persecuzioni agli artisti con la sedia vuota per il regista iraniano Jafar Panahi, condannato a 6 anni e al silenzio cinematografico.

“Continueremo a chiedere la sua liberazione e la piena libertà di espressione per tutti i cineasti iraniani”, dice la Smutniak. Con il copyright del festival di Cannes (il direttore Thierry Fremaux era in sala), dopo i discorsi un filmato di montaggio dei film in concorso e fuori concorso ha fatto entrare gli ospiti della Sala Grande nel clima giusto prima dell’anteprima mondiale del Fondamentalista di Mira Nair. Sul red carpet un discreto numero di attori e invitati noti, con l’assenza certamente vistosa dell’annunciata bellezza di Naomi Campbell. Si sono fatte notare la giurata Laetitia Casta, reggiseno e culotte nere in vista sotto l’abito nudo di pizzo (la notizia, pare, è un’altra: crisi con il compagno Stefano Accorsi, assente stasera. Il gossip impazza), la giurata Isabella Ferrari, grigio metallo anche lei tra pizzo e nudità, Naomi Watts che sembrava proprio Lady D (il film è sul set in questi giorni) venuta ad accompagnare il fidanzato Liev Schreiber co-protagonista del film di apertura.

La Watts indossava un abito color carne abbronzata, stessa identica tonalità della protagonista femminile Kate Hudson: chissà se l’hanno trovato divertente (i fotografi non tanto). C’era la solita Marina Ripa di Meana, stavolta con copricapo con immense corna nere, Valeria Marini, il presidente della Rai Anna Maria Tarantola, il signor Diesel Renzo Rosso, Ginevra Elkann in abito premaman, l’ex giocatore del Milan Franco Baresi, la coppia da red carpet Tiziana Rocca-Giulio Base, Daniela Santanché con Alessandro Sallusti. Niente passerella ma ingresso laterale per i ministri Lorenzo Ornaghi e Corrado Clini. In lontananza, perché i poliziotti li hanno fermati ben prima dell’area del Palazzo del cinema, appena un’eco della protesta per Cinecittà, una sessantina di persone, che urlavano “con la cultura non si mangia ma Abete e Della Valle si stanno ingoiando Cinecittà”. La spending review non ha tagliato la cena: dopo il film gli ospiti proseguono la serata sotto i tendoni allestiti sulla spiaggia dell’Excelsior.

 

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