POZZUOLI – Il ministro della cultura Bray ha dimostrato un grande dinamismo nell’affrontare i problemi dei grandi siti turistici della Campania come ad esempio la Reggia di Caserta e gli Scavi di Pompei. Ora c’è un’altra zona della Campania, i campi Flegrei, che richiede la sua attenzione. Una zona dove l’immenso patrimonio è svalutato dalla carenza di mezzi e personale. Al ministro scrivono gli albergatori.

 

OGGETTO: stato del Museo Archeologico e invito nei Campi Flegrei

Caro Ministro,

Lei di certo conosce i Campi Flegrei. Una terra come la nostra, un immenso museo a cielo aperto dove testimonianze archeologiche uniche al mondo e incredibili scorci paesaggistici si succedono lungo tutta l’area, una meta turistica potenzialmente senza eguali dove storia e leggenda si intrecciano e talvolta si confondono, non può non trovare uno dei suoi più convinti estimatori proprio in Lei, che ancor prima di essere un uomo delle istituzioni è un uomo di grande cultura.

Tuttavia, pur capendo le gravose difficoltà di un pesante mandato che dopo appena pochi mesi può essere considerato ancora ai suoi primi passi, non capiamo perché, tra le tante emergenze su cui sta lavorando il Suo Ministero, non sia mai stata spesa neanche una parola sui Campi Flegrei, il cui settore turistico e culturale vive da anni una crisi gravissima. L’incapacità delle istituzioni di tutelare, valorizzare e talvolta anche solo di rendere fruibile l’incredibile patrimonio archeologico e paesaggistico della nostra terra, la carenza di adeguati servizi informativi a sostegno del settore, lo stato vergognoso del sistema di trasporto pubblico locale e la perdurante assenza di una visione programmatica sono infatti solo alcune delle tante problematiche che pesano sul turismo dei Campi Flegrei. Una situazione drammatica che negli ultimi anni, nonostante le centinaia di milioni di euro che i nostri governanti si vantano di aver investito sul territorio, non accenna neanche lontanamente a risolversi e che anzi si aggrava di giorno in giorno, con le istituzioni che non solo continuano a negarci il loro sostegno ma stanno privando l’area flegrea anche di quei pochi servizi faticosamente conquistati dagli operatori turistici e dalla stessa comunità locale e, soprattutto, delle sue risorse più importanti, quei siti archeologici di inestimabile valore storico e culturale che sempre più spesso rimangono chiusi al pubblico.

E’ il caso ad esempio del Museo Archeologico dei Campi Flegrei, istituito nel 2008 all’interno di uno dei castelli più belli d’Europa, il Castello Aragonese di Baia, e che oggi, come molti dei principali beni culturali della nostra terra, rischia di chiudere per sempre. La storia del Museo e del triste epilogo a cui pare essere destinato è stata egregiamente raccontata dalla redazione della testata locale FreeBacoli in un articolo di cui Le riportiamo alcuni stralci:

Il Museo, il tanto decantato volano della rinascita di Bacoli e dei Campi Flegrei, è fermo al palo di malleverie assunte e mai mantenute, di lavori iniziati e mai ultimati. Nel volgere di pochi anni si è passati dall’entusiasmo incontenibile di “C’abbiamo il Museo” al deprimente stato di non avere più niente. La nostra terra, già ricca di stra ordina rie preesistenze storico -a rcheologiche, di impa reggiabili bellezze naturalistiche, di siti e bacini vulcanici di primario interesse scientifico, vantava pure un museo. Ecco, vantava, perché oggi ci sono seri rischi che il Museo Archeologico dei Campi Flegrei chiuda i battenti.

Già da qualche tempo si assisteva ad una alquanto strana gestione del Bene: il lunedì il Museo è chiuso al pubblico così come altri siti archeologici della zona; dal martedì al venerdì è invece aperto gratuitamente, mentre con un biglietto di appena 4 euro valido 48 ore è visitabile nei fine settimana. E poi ci si lamenta che non ci sono i fondi.

Ma quali sono i motivi di cotanto scialacquare? Uno scaricabarile, un tragico gioco a rimpiattino, ha portato prima alla chiusura della sezione museale di Liternum, pare per il crollo dell’intonaco del piano di copertura della Polveriera di Sant’Antonio che ospita la collezione, poi della sezione museale di Baia, per la verità mai aperta al pubblico, della Torre Tenaglia, con le mirabili ricostruzione del Sacello degli Augustali e del ninfeo marino di Claudio, e infine la chiusura temporanea della sezione dedicata all’antica città di Cuma. Negli ultimi tempi, tra il silenzio di amministratori locali e stampa, capita poi che la domenica, giorno a pagamento, il Museo mantenga aperta solo la sezione di Pozzuoli, il tutto per la mancata retribuzione di straordinari a dipendenti, operai e restauratori.

La cronica mancanza di fondi addotta dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali per consentire la corretta fruizione e funzionalità del Museo è grave oltre che contraddittoria: queste straordinarie realtà archeologiche e monumentali, che farebbero la sicura fortuna economica di qualsiasi altra nazione, vengono infatti snobbate o trattate alla stregua della più penosa e fatiscente delle baracche. La motivazione, la mancanza di fondi da destinare alla cultura, cozza anche con l’unanime giudizio rilasciato nel 2008 da appositi esperti della Commissione MiBAC, per cui il Museo Archeologico dei Campi Flegrei fu unanimemente dichiarato “il più bello d’Italia”. Tutti sappiamo, poi, con quale pompa, con quale cerimonia festosa e solenne fu presentato ai bacolesi, ai cittadini flegrei, agli italiani, il Museo Archeologico dei Ca mpi Flegrei. Per l’ina ugura zione fu scomoda to perf ino il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, insieme alla signora Clio, all’allora Governa tore della Regione Ca mpa nia Antonio Ba ssolino, al Presidente dellaProvincia di Napoli Dino Di Palma, al Soprintendente ai BB.AA. di Napoli e Pompei Pietro Guzzo, all’Assessore Regionale al Turismo e alla Cultura Claudio Velardi, oltre a d un nutri to gruppo di funziona ri ministeria li e della Soprintendenza . Insomma, “…con la banda in testa, alla stazione c’erano tutti, dal commissario al sagrestano” come direbbe il compianto De Andrè. Era il 3 dicembre 2008 e oggi, nel volgere di appena cinque anni, il Museo è passato dagli onori delle cronache alla polvere del dimenticatoio.

Ora non ci sono né soldi né agenti di custodia. I fondi erogati dal Ministero sono talmente pochi che coprono a malapena le spese correnti per la manutenzione ordinaria e il pagamento delle bollette. Nel periodo invernale non vengono neanche accessi i riscaldamenti. Si annaspa in cerca d’aria, si raspa il fondo del barile pur di risparmiare e far fronte alle emergenze, alla sopravvivenza. La soluzione trovata è stata quella di salvare il salvabile, ovvero di chiudere alcune sale laddove non era possibile garantire l’ordinario servizio di custodia. Per far fronte all’emergenza, il 20 luglio è stata quindi attuata questa formula salomonica con il dimezzamento degli operatori di custodia e la chiusura delle sale museali della sezione di Cuma. E’ plausibile?

Per scongiurare la chiusura o comunque un’apertura fittizia, bisognerebbe fare una volta tanto fronte comune. I rappresentanti della Regione, della Provincia e dei Comuni flegrei, insieme al Soprintendente ai BB.AA., dovrebbero sedersi intorno al famoso tavolo e stabilire, una volta per tutte, le azioni da adottare per far fronte all’emergenza. Se tra le tante cause di quella che sembra sempre più una cattedrale nel deserto e non un museo c’è pure la mancanza di personale, il problema potrebbe essere risolto come è stato fatto a Pozzuoli qualche mese fa. Da tempo all’Anfiteatro Flavio si assistevano a scene di ordinaria follia, con turisti inviperiti ai cancelli per la possibilità negata di visitare la famosa arena puteolana. Con la stipula di un’apposita convenzione tra la Soprintendenza di Napoli e Pompei e il Comune di Pozzuoli il problema del personale all’interno dell’Anfiteatro Flavio è stato risolto grazie al supporto di maestranze comunali. Lo stesso parto indolore non si potrebbe adottare con analoga convenzione anche per il Museo? O magari sondare altre piste, come gettare le basi per la nascita di un’apposita cooperativa di giovani attingendo a fondi regionali o europei?

Quello del Castello di Baia, del Museo Archeologico dei Campi Flegrei, è solo l’ultimo caso di un interminabile elenco di siti negati, abbandonati o deturpati che purtroppo continua incessantemente ad allungarsi. Ci piacerebbe scriverLe, ad esempio, anche del Rione Terra, che dopo oltre vent’anni di lavo ri e finanziamenti milionari è ancora un cantiere aperto, oppure della Piscina Mirabilis, accessibile a turisti e cittadini solo a discrezione dell’anziana signora a cui sono state affidate le chiavi, o ancora dei tanti altri siti flegrei che per mancanza di personale e carenze strutturali risultano parzialmente o totalmente interdetti al pubblico, ma capirà che è un discorso troppo ampio e complesso per poterlo mettere su carta. La invitiamo quindi nei Campi Flegrei per verificare di persona lo stato pietoso del nostro patrimonio archeologico e paesaggistico, e per discutere, anche coi rappresentanti degli altri enti pubblici coinvolti, primi fra tutti la Regione Campania e i quattro Comuni flegrei, della sempre più drammatica crisi del settore turistico locale, nella speranza che con la Sua visita possa finalmente inaugurarsi una percorso comune di confronto e collaborazione per tutelare questa terra e darle la visibilità che merita. La aspettiamo.

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