NAPOLI – Un grido di allarme per il futuro della Pizza napoletana giunge del convegno che si è tenuto oggi al Maschio Angioino di Napoli, dal titolo “La Pizza e il Pizzaiuolo: passato, presente e futuro”, promosso dall’Associazione Pizzaiuoli Napoletani.

Entro gennaio 2017 bisognerà comunicare all’Unione Europea un nome identificativo per determinare la certificazione di provenienza della pizza napoletana. L’intervento della dottoressa Laura La Torre, direttore generale dell’Ispettorato per la tutela della qualità (ICQRF) del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, ha infatti ricordato la scadenza imposta dalla regolamentazione europea nr.1151/2012 in riferimento alla conservazione del riconoscimento STG (specialità tradizionale garantita) concesso al prodotto Pizza napoletana. Per conservare l’identità del prodotto occorrerà aggiungere un nome proprio, comunque identificativo, alla dizione attuale per far sì che possa essere conservata la certificazione. L’Associazione Napoletana Pizzaioli, rappresentata dal presidente Sergio Miccù, preparerà un concorso di idee, tra i propri associati, per fornire alcuni suggerimento al Governo italiano. L’associazione ha anche rivendicato il ruolo professionale del “Maestro Pizzaiuolo” per i propri iscritti, infatti al momento non esiste nessuna qualifica degli operatori della categoria, ben 500mila i pizzaiuoli che lavorano in oltre 250mila pizzerie in Italia a dispetto, ad esempio, dell’albo professionale degli chef. Sarà proprio la neo nata associazione Centro Studi Partenopeo, che raggruppa pasticcieri, panificatori e pizzaioli, a realizzare corsi formativi pratici mentre toccherà poi ad Idee Insieme, Ente di Formazione accreditato dalla Regione Campania (n.01665 con decreto n.64 del 29.3.2011), formare professionalmente la figura. Sarà poi l’assessorato regionale del Lavoro, Formazione e Orientamento Professionale a procedere al riconoscimento del ruolo del professionista con un albo di categoria. “Dobbiamo difendere il prodotto – ha dichiarato Antonio Starita, del Consorzio Italiano di tutela della pizza Napoletana STG – e esiste un solo modo: realizzare un prodotto con pasta per manipolazione, che abbia un diametro di 33 centimetri per quasi due di altezza e realizzata esclusivamente con forno a legna. Ogni altro prodotto si chiama semplicemente pizza e non Pizza Napoletana”. Anche il cavaliere del lavoro, lo storico Antonio Mattozzi, è dello stesso parere: “Abbiamo già corso il pericolo di perdere questa identità alimentare nel lontano 1891 a San Francisco, non ci dimentichiamo che la prima richiesta di licenza per forno da pizza fu esercitata a Napoli nel lontano 1792”. Anche l’assessore comunale Antonella Di Nocera è intervenuta sulla questione: “La pizza è un bene comune, anzi direi universale, oltre che un ottimo prodotto alimentare. Un valore tradizionale che identifica nel mondo l’Itala e Napoli, non possiamo permetterci di perdere questa identità”. L’appuntamento al Maschio Angioino vale anche come tappa di avvicinamento alla 3^ edizione dell’evento Napoli Pizza Village, in programma sul Lungomare di via Caracciolo a settembre (3-8).

 

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