Il report di Unioncamere Campania, redatto dall’istituto Tagliacarne, mostra una regione in forte affanno sotto il profilo economico e della crescita. Ecco la fotografica scattata dallo studio del territorio. “Le turbolenze dei mercati finanziari che stiamo ancora attraversando gettano nuovi interrogativi sulle prospettive dell’economia reale del nostro Paese; in estate, le perdite si sono attestate mediamente a circa il 30% per le società italiane quotate in borsa, con particolare riferimento agli istituti creditizi.
Con buona probabilità, la produzione e gli investimenti delle imprese ne risentiranno entro l’anno, con effetti di ulteriore depressione del mercato del lavoro. Ciò potrebbe riflettersi sul dinamismo economico italiano del 2012, che sconta anche una struttura produttiva più matura e più basse possibilità di stimolo fiscale per effetto dell’elevato debito pubblico. In un contesto macroeconomico difficile, nel periodo 2004-2010, l’economia campana è cresciuta ad un tasso medio annuo piuttosto modesto (+1,4%), inferiore anche al già modesto valore meridionale (+1,8%) ed a maggior ragione a quello nazionale (+2,1%). In particolare, nelle fasi di inversione del ciclo economico, il Pil regionale manifesta un risultato comparativamente penalizzante rispetto a quello nazionale. Ci si trova di fronte ad una economia che entra più rapidamente in recessione e ne esce in modo piuttosto lento.
Tale andamento è imputabile a diversi fattori, tra cui l’ipertrofico settore terziario che caratterizza l’economia della regione, nascondendo sacche di inefficienza e insufficiente orientamento al mercato. In questo contesto, va evidenziato che i servizi pubblici no-market in Campania, assorbono il 28% del valore aggiunto totale; inoltre, attività di tipo relativamente marginale dal punto di vista del contributo alla crescita, come i servizi alla persona, i servizi domestici, il piccolo commercio al dettaglio, le piccole riparazioni di beni personali e di consumo, rappresentano non meno del 35% del valore aggiunto regionale complessivo. In tali numeri si annida un terziario poco produttivo, con limitate capacità di sviluppo, non di rado a cavallo fra economia legale ed illegale, al cui interno si ripercuotono con severità gli effetti di un declino dei consumi indotto dalla recessione e dalla riduzione della spesa comunitaria. Per quanto concerne la domanda aggregata, il Pil regionale, rispetto a quello meridionale e nazionale, dipende in modo cruciale dai consumi interni.
Il contributo complessivo degli investimenti fissi lordi sul Pil regionale è sostanzialmente allineato alla media meridionale e nazionale, ma andando ad esaminare la composizione interna dei flussi di investimenti fissi lordi, risulta che questa è sbilanciata, in Campania, a favore degli investimenti pubblici. Quindi, il contributo alla crescita proveniente dagli investimenti fissi lordi generati dal settore privato è inferiore al dato medio nazionale. La crescita economica campana dipende in modo cruciale dal livello di spesa per consumi delle famiglie residenti, nonché dalla domanda, per consumi ed investimenti, della Pubblica Amministrazione. La capacità del sistema produttivo regionale di guadagnare sbocchi di mercato, sia all’estero che nelle altre regioni italiane, è invece modesta.
Ne consegue che la crescita economica regionale, anche in fasi congiunturali normali, è inferiore a quella nazionale, e non di rado a quella meridionale; ciò anche in relazione ad una serie di concause che agiscono sul ciclo economico, tra cui: – il reddito disponibile medio delle famiglie campane, al 2009, è pari ad appena il 71,2% del dato nazionale, quattro punti al di sotto anche della media meridionale; – un tasso di occupazione complessivo che è pari a poco più del 70% del valore nazionale ed un tasso di disoccupazione giovanile che nel 2010 è del 41,9%, superiore addirittura al già altissimo valore meridionale (38,8%), oltre che a quello nazionale (21,4%), e che è il secondo più alto tasso di disoccupazione giovanile fra tutte le regioni italiane; – l’indebitamento bancario delle famiglie residenti cresce negli ultimi anni, in maniera molto superiore rispetto alla dotazione patrimoniale (la crescita dell’indebitamento rispetto al 2008, pari al +10,1%, è superiore all’incremento del patrimonio delle famiglie, pari al +1,3%); – il circuito di domanda interna alla regione per consumi non è alimentato sufficientemente per sostenere tassi di crescita del Pil soddisfacenti. Infatti, nel 2009, la spesa media per consumi pro capite delle famiglie è addirittura inferiore (circa 700 euro) rispetto al valore del Mezzogiorno, ed ovviamente più bassa (circa 4.000 euro) rispetto al dato italiano; – la debolezza competitiva complessiva (al netto delle punte di eccellenza) del sistema produttivo regionale si traduce in una contenuta capacità di diversificare i propri sbocchi di mercato al di fuori del contesto meramente locale, impedendo all’economia regionale di compensare i deboli livelli di consumo delle famiglie campane; – i modesti indici di internazionalizzazione, soprattutto per quanto concerne i mercati più dinamici, riflettono le debolezze del sistema produttivo. Nel 2010, la propensione ad esportare della Campania è pari ad appena il 45,6% di quella nazionale. Peraltro, si nota una significativa incidenza di importazioni di produzioni tipiche dell’economia campana (tessile abbigliamento, agroalimentare, prodotti in metallo); – l’intensità recessiva del taglio alle risorse pubbliche che interessa tanto il contesto nazionale quanto quello regionale e locale, per una economia che ne è dipendente, come quella campana, è particolarmente intensa; viene meno, infatti, anche l’importante volano del soggetto pubblico.
Un sistema produttivo fragile dal punto di vista competitivo e dimensionale si traduce anche in elevati livelli di irregolarità del lavoro; l’ampia diffusione dell’economia sommersa è indicativa di interi settori produttivi costretti, per sopravvivere, a evadere i costi contributivi e fiscali legati ad una normale e regolare attività d’impresa. Una marcata polverizzazione del sistema produttivo in piccole e micro imprese che non hanno, pertanto, la massa critica patrimoniale e finanziaria necessaria per effettuare programmi di investimento di dimensioni sufficienti a introdurre elementi di rottura competitiva. Il sottodimensionamento delle imprese, in periodi di ciclo economico recessivo o stagnante, induce, tra l’altro, problemi di tenuta finanziaria e si traduce in un tasso di fallimento più elevato. Fra il 2008 ed il 2010, il numero di imprese regionali che entrano in procedure concorsuali cresce del 34,9%, a fronte del +29,3% del Mezzogiorno. Le debolezze strutturali dell’economia campana sono, però, controbilanciate da elementi di potenziale vantaggio, che potrebbero fare di tale regione una punta di eccellenza, specie nel panorama del Sud.
La regione ha elementi di competitività nella sua struttura demografica. La popolazione regionale è cresciuta ad un ritmo molto rapido, pari al 6,1 per mille, fra il 2005 ed il 2009, essenzialmente grazie ad un saldo naturale molto positivo, indotto dalla presenza di una popolazione relativamente giovane. Una popolazione giovane è potenzialmente molto produttiva e creativa. La Campania, poi, gode di un livello di infrastrutturazione logistica che ne fa il perno dell’interscambio di persone e merci fra Nord e Sud del Paese. Grazie ai suoi due porti industriali (Napoli e Salerno), alla sua sviluppata rete interportuale, basata su Nola ma anche su ulteriori progetti in via di sviluppo, al fatto di essere il terminale di una linea di alta velocità ferroviaria strategica nonché di una linea di alta capacità in via di progettazione (la Napoli-Bari), la Campania potrebbe naturalmente candidarsi ad essere la piattaforma logistica europea di interscambio con la sponda Sud del Mediterraneo, ma anche con i Balcani meridionali. Ciò naturalmente passa però per il completamento di tale livello di attrezzatura infrastrutturale.
Occorre cioè diversificare l’offerta aeroportuale, oggi troppo concentrata su Capodichino, ed implementare adeguatamente le autostrade del mare, prevedendo anche rotte di cabotaggio nazionale ed un ampliamento del numero delle rotte che collegano i porti campani con il Nord Africa, magari con rotte di collegamento con realtà economiche interessanti, come quella turca. Occorre inoltre potenziare i sistemi pubblici di trasporto nelle principali aree urbane della regione, afflitte da endemici problemi di sovraffollamento e congestione. Il terzo fattore di vantaggio potenziale è costituito dalle potenzialità turistiche di un territorio che consente di fruire di quasi tutti i pacchetti di offerta disponibili (balneare, storico-culturale, artistico, ambientale e rurale, enogastronomico, religioso, termale). La Campania assorbe circa il 5% dei flussi turistici nazionali, ed il comparto rappresenta il 3,7% del valore aggiunto regionale complessivo, in linea con il dato nazionale, ma con una punta del 4,5% del valore aggiunto per la provincia di Salerno.
La Campania ha ampie zone turistiche destinate a fasce di reddito medio-alte, il che rende particolarmente interessante l’impatto che il turismo ha sull’economia regionale nel suo insieme. Venendo più specificamente alle dinamiche economiche, nel 2010, si riscontra come la Campania non sia riuscita ad agganciare la ripresa economica nazionale. Infatti, mentre il Pil italiano cresce dell’1,8% a prezzi correnti, quello campano si riduce, per il secondo anno consecutivo, ad un ritmo del -0,3%. Si tratta di un calo meno severo rispetto al -3,1% del 2009, ma segnala come l’economia della Campania non riesca ad approfittare della modesta ripresa economica generale, e recuperare, almeno in parte, la ricchezza persa nel 2009. Anche il buon risultato dell’export non contribuisce a risollevare il trend della crescita, mentre il corrispondente incremento dell’import è stato il frutto di un effetto di spiazzamento competitivo di produzioni campane sui loro tradizionali mercati locali, ad opera soprattutto di economie emergenti.
Nel complesso si può comunque essere soddisfatti dalla crescita dell’export regionale nel 2010, legata ad un certo recupero di competitività internazionale. Vi è, quindi, un piccolo segmento di imprese campane che sta reagendo in modo molto positivo, espandendosi sui mercati esteri, al fine di contrastare la dinamica negativa della domanda interna italiana. Sul versante del credito bancario, nel 2010 gli impieghi sono cresciuti del 12% circa, accelerando rispetto al +5% del 2009, ad un ritmo che è stato quindi più rapido della media meridionale e nazionale. Il dinamismo del settore creditizio regionale nel 2009-2010, nonostante la rapida ascesa del livello delle sofferenze evidenzia un rapporto impieghi/depositi pari al 151,8%, a fronte di una media nazionale del 184,5%. In altri termini, il rapporto impieghi/depositi del sistema bancario campano è ancora improntato ad un livello cautelativo. Per quanto concerne il tessuto produttivo, nel 2010, nonostante la vischiosità del quadro economico, cresce il numero di imprese di 3.600 unità circa fra iscrizioni e cessazioni, un valore analogo a quello del Mezzogiorno.
Ciò segnala il dinamismo particolare che ha animato il tessuto produttivo regionale nell’anno. In Campania, poi, è in atto da anni un processo di trasformazione del tessuto produttivo che vede ridurre il numero delle imprese più piccole e sottocapitalizzate, generalmente aventi la natura di ditte individuali, a favore di un rafforzamento organizzativo e patrimoniale, richiesto dalla natura stessa della competizione e che si traduce in un incremento del numero delle società di capitale. La prosecuzione della fase recessiva per l’economia regionale si riflette in andamenti deludenti del mercato del lavoro. Nel 2010, gli occupati in regione si sono ridotti dell’1,7%, a fronte di una contrazione dello 0,7% su base nazionale. Se è vero che la riduzione occupazionale è stata meno grave rispetto a quella registrata nel 2009 (-4,1%), è chiaro che l’impatto occupazionale della recessione è stato, per la regione, particolarmente severo: fra il 2008 ed il 2010, in Campania si sono persi quasi 97.000 posti di lavoro, con una flessione complessiva nell’arco del biennio del 5,8% (Italia -2,3%). Particolarmente duro è stato l’impatto occupazionale nella provincia di Napoli (2008-2010 -7,4%).
Il mercato del lavoro campano è inoltre caratterizzato da valori di occupazione femminile particolarmente modesti, nettamente inferiori rispetto al dato nazionale, che già di per sé segnala un evidente scostamento nelle opportunità lavorative fra uomini e donne. Un ragionamento sulle politiche necessarie per riattivare un circuito di crescita ed impedire che la Campania si avviti in una lunga fase di declino economico e sociale, richiede che si rovesci l’ottica tradizionale attraverso la quale si costruisce la programmazione delle politiche di sviluppo: non più partire dall’elaborazione del disegno strategico generale, per arrivare alla fase di reperimento delle necessarie risorse finanziarie, quanto piuttosto dal reperimento delle risorse finanziarie disponibili e, solo in base a queste, elaborare un disegno coerente con quanto concretamente si può mettere in campo.