di Mario De Michele

Due giovani uccisi. Così, in un lampo. Come se la vita valesse meno di nulla. Una famiglia distrutta. Devastata dalla furia omicida di un uomo, che di umano ha solo l’aspetto, e dalla brutalità selvaggia di un’informazione arruffona e di un’epoca social che non guarda in faccia a niente, nemmeno alla morte. Il duplice assassinio dei fratelli Marco e Claudio Marrandino, residenti a Cesa, freddati sulla super strada Nola-Villa Literno, all’uscita di Succivo, ci pone di fronte alla realtà. Quella vera, non virtuale. Quella di un mondo subumano, dove Marco, avvocato 40enne, e Claudio, piccolo imprenditore di 29 anni, vengono portati via agli affetti dei cari con spietata “naturalezza”. Quella stessa “naturalezza” con la quale i giornali online hanno immediatamente accostato la morte di due giovani perbene a un regolamento di conti tra i clan, perché nel Casertano e in particolare nell’Agro aversano un raid del genere è sempre e comunque definito “un agguatto in perfetto stile camorristico”. In questo caso di perfetto c’è solo l’approssimazione dei giornalisti per i quali i morti di camorra fanno più notizia. Soprattutto in un momento in cui a Casal di Principe si torna a sparare. A nessuna testata web, salvo rarissime eccezioni, è venuto “naturale” verificare, prima di fare accostamenti con la camorra, chi fossero le vittime, quale vita conducessero, quali ambienti frequentassero. Eppure, non sarebbe stato faticoso fare un paio di telefonate per rendersi subito conto che Marco e Claudio erano due persone oneste, stimate dalla loro comunità. E no, era più facile cadere nei luoghi comuni. Era già tutto chiaro, per chi rincorre i falsi-scoop, accostarli subito alla criminalità organizzata. È una forma di killeraggio che uccide due volte. Vomitevoli poi i giornalisti che senza un minimo di umanità hanno pubblicato le foto delle vittime uccise per una manciata di clic. Ecco, la morte calcolata in visualizzazioni. Anche alla nostra redazione sono giunte le foto dei due giovani uccisi. In quel momento non conoscevamo la matrice dell’agguato, ma abbiamo deciso, a prescindere da tutto, di non pubblicarle. Ci è venuto “naturale” rispettare i morti, ma soprattutto i vivi, i familiari delle vittime. L’altra pagina, altrettanto disumana, l’hanno scritta i cittadini virtuali, quelli che si nutrono dei social, quelli che vivono in una bolla cognitiva. Quelli che “esistono” tramite i commenti Fb: “Posto, quindi sono”. Alla velocità della luce hanno fatto girare sul web le foto dei morti ammazzati. A quanto pare, anche un video del raid è diventato virale. Possibile mai che nessuno abbia pensato, almeno per un momento, ai parenti delle vittime? Non è anche questo un atteggiamento subumano? Come i giornalisti hanno fatto la corsa a “fare primi”, anche i cittadini-cybernauti hanno ingaggiato la gara a chi postava in anticipo foto e video del duplice omicidio. Il festival dell’orrore si è spostato in un baleno sui gruppi WhatsApp. Non è brutale agire in questo modo? È forse il caso di interrogarci sulla “banalità del male” che ha intriso la società. Homo homini lupus, questa è la realtà. L’innata volontà di potenza-prevaricazione che anima gli uomini. Lo vediamo tutti i giorni. Si viene uccisi o massacrati di botte per un parcheggio. Si muore per una lite condominiale. Donne ammazzate da chi le dovrebbe amare. Marco e Claudio non dovevano morire così. Ma quanto c’è di brutale e disumano nel nostro vivere quotidiano? Se nemmeno di fronte alla morte di due figli abbiamo rispettato il dolore dei genitori possiamo ancora definirci esseri umani?

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