di Mario De Michele
L’anno prossimo la Delrio compirà 10 anni. È quindi tempo di bilanci per una normativa criticata fin dalla nascita per le storture sia sul piano della rappresentanza che a livello attuativo e istituzionale. La riforma degli enti locali introdotta con la legge 56 del 2014 ha ridefinito l’ordinamento delle province e istituito le città metropolitane. Le province e le città metropolitane sono state definite enti di area vasta. La prima anomalia riguarda il sistema elettorale: il presidente e il consiglio provinciale sono divenuti organi elettivi di secondo grado. Che vuol dire? Non sono più eletti dai cittadini. Sindaci e consiglieri comunali si eleggono tra di loro con voto ponderato che viene attribuito ai comuni in base al numero di abitanti. In pratica il presidente e l’assise provinciale non sono più espressione della volontà popolare ma sono il frutto di accordi, molto spesso trasversali e politicamente indecenti, tra gli amministratori locali. “Viva la casta”, insomma. Analogo impianto è seguito per il consiglio delle città metropolitane, con la differenza che il sindaco metropolitano coincide con il sindaco del comune capoluogo. La governance degli enti di area vasta si completa con l’assemblea dei sindaci, per le province, e con la conferenza metropolitana, per le città metropolitane, che sono composte dai sindaci dei comuni dell’ente. La riforma Delrio si accompagnava al progetto di riforma costituzionale targata Matteo Renzi che prevedeva la soppressione delle province quali enti costituzionalmente necessari. Venuto meno il progetto di revisione costituzionale, all’esito del referendum del 4 dicembre 2016, si è aperto il dibattito sull’opportunità di un nuovo intervento legislativo. Da allora tutti si lamentano (o fingono di farlo?) per gli effetti della Delrio ma fino ad oggi nessuna maggioranza parlamentare, né di destra né di sinistra, è stata in grado (o non ha voluto farlo?) di cestinare una legge che, ad esempio, non prevede la sfiducia nei confronti del presidente della provincia. Nemmeno ai tempi degli imperatori romani. Quelli almeno rischiavano la poltrona per accoltellamento. Attualmente in Parlamento sono state depositate quattro proposte di legge, di ogni colore politico, di recente accorpate perché tutte prevedono il ritorno all’elezione diretta di presidente e consiglio provinciale. Un ritorno al passato che in questo caso è un balzo in avanti. C’è ancora incertezza sulla calendarizzazione dei lavori. Al momento non sembra una priorità per nessuno. Ma le voci di dentro dicono che il 2024 potrebbe essere l’anno buono per la cancellazione della Delrio con l’assegnazione di un ruolo nuovamente centrale per un importante ente di prossimità come la provincia. La novità principale riguarderà il sistema elettorale. Si ridà la parola ai cittadini. Da definire la vastità dei collegi. C’è chi propende per collegi piccoli, composti da 2-3 comuni, e chi opta per un unico collegio provinciale. Non ci resta che attendere. La Casta passerà di nuovo la palla ai cittadini? Staremo a vedere. Ci riserviamo il beneficio del dubbio.