Lascia la sottosegretaria al Mur, Augusta Montaruli, dopo la condanna definitiva di ieri a un anno e sei mesi per peculato in uno dei filoni della ‘Rimborsopoli’ piemontese, il processo sull’uso improprio dei fondi dei gruppi in Consiglio regionale durante il mandato 2010-2014. «Ha finalmente fine un processo che è durato ben undici anni, per fatti che risalgono a 13 anni fa, articolato in cinque gradi di giudizio, con un’assoluzione piena in primo grado ed un esito ieri contrario», scrive l’esponente di Fratelli d’Italia. «Mi riservo di valutare l’opportunità di un ricorso alla Corte di Giustizia Europea – fa sapere – . Ho creduto, credo e continuerò a credere nella Magistratura. D’altra parte solo chi confida nella propria innocenza e nella Giustizia si sottopone a dibattimento ovvero per così tanto tempo al giudizio in modo pubblico benché un procedimento simile, fin dall’inizio, sia stato mediaticamente esposto. Così io ho fatto». «Non possiamo che rispettare la decisione generosa e spontanea di Augusta Montaruli che, pur non avendo alcun obbligo a riguardo – tantomeno di legge – ha deciso di rassegnare le dimissioni dall’incarico di sottosegretario all’Università, che ha ricoperto con onore, capacità ed impegno costante». Lo dichiarano in una nota congiunta i capigruppo di Fratelli d’Italia Tommaso Foti e Lucio Malan. La Corte di Cassazione ha condannato in via definitiva la sottosegretaria all’Università Augusta Montaruli, oggi dimissionaria, a un anno e sei mesi, per l’uso improprio dei fondi del gruppo consiliari del Piemonte, negli anni dal 2010 al 2014, quando era consigliera a Palazzo Lascaris. I giudici supremi hanno applicato uno sconto di pena rispetto alla sentenza della Corte d’Appello di Torino, che nel 2021 l’aveva condannata a un anno e sette mesi. Confermate anche le condanne per l’ex presidente della Regione, il leghista Roberto Cota (un anno e sette mesi) e per l’ex deputato ed ex sindaco di Borgosesia Paolo Tiramani, sempre della Lega, (un anno e 5 mesi). Montaruli era entrata in consiglio regionale con il Popolo della Libertà, quando il presidente era Roberto Cota. Insieme ad altri consiglieri era finita nella bufera giudiziaria dopo che la Procura torinese aveva contestato dei rimborsi gonfiati. Le spese riguardavano cene, abiti di lusso, gioielli, borse, ma anche dei corsi sull’uso dei social network e dei libri. Gli inquirenti avevano contestato alla Montaruli spese improprie per un totale di 41.552 euro, nel periodo dal 2010 al 2012. In primo grado era stata condannata a quattro mesi per finanziamento illecito, in quanto si era fatta rimborsare una spesa di un ristorante per duecento euro dove si era tenuto un incontro elettorale con Maurizio Marrone, all’epoca dei fatti suo marito e oggi assessore regionale. Le accuse erano state rilanciare in appello e Montaruli era stata condannata per peculato, per essersi fatta rimborsare secondo l’accusa spese per circa 25mila euro. Nel novembre 2019 la Cassazione ordina un secondo processo in Corte d’Appello che si conclude il 14 dicembre 2021 con la condanna a un anno e sette mesi. «Continuo a ribadire la mia innocenza, che peraltro fu riconosciuta dal Tribunale, a Torino, al termine del primo grado di giudizio. D’altra parte in Italia funziona così: c’è l’appello, l’appello bis, la Cassazione. Ma poi c’è la Corte europea per i diritti dell’uomo, alla quale farò sicuramente ricorso», afferma Roberto Cota, oggi avvocato, dopo la sentenza della Suprema Corte. «Nel ricorso – annuncia Cota – metterò in evidenza specifici profili di violazione delle norme comunitarie in materia di giustizia».

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